Cominciamo subito col mettere le mani avanti, che poi le sassate me le piglio io. Il Birrificio del Ducato è uno dei migliori in Italia, dove per migliore intendo proprio le posizioni di vertice. È un birrificio solido, attento, professionale, ambizioso, in pochi anni è riuscito a costruirsi una fama meritata e riconosciuta da tutti. È un birrificio che investe, in impianti, in personale, nella qualità e nell'immagine del prodotto, continua ad affinare le proprie ricette impegnandosi sempre nella ricerca degli ingredienti migliori. Cerca visibilità e riconoscimenti per i suoi prodotti, partecipa ai concorsi nazionali ed internazionali e spesso e volentieri torna a casa con qualche trofeo. Soprattutto, ed è forse il riconoscimento più importante, è un birrificio completo che sa eccellere in stili e tipologie birrarie molto diverse fra loro, dalle Italian Pils agli stili angloamericani passando per quelli del Belgio, con prodotti che spaziano dal buono all'eccellente. Riesce insomma a portare a termine in maniera efficace tutto quell'insieme di iniziative che rendono un birrificio leader, iniziative che tanti altri, per le ragioni più disparate (non ultima l'inclinazione personale), non riescono a sviluppare con la stessa efficacia.
Al top della gamma produttiva del Ducato stanno le Lune, 3 prodotti importanti in tutti i sensi, ivi compreso il prezzo di alcune, solo in parte giustificato dai tempi e dalle tecniche produttive: per capirci, al litro ci possiamo avvicinare al costo di un buon Barolo base. Mica poco, di conseguenza le aspettative vanno ricalibrate di conseguenza: se poni l'asticella a due metri e mezzo, poi devi saltare come Sotomayor.
La Luna Rossa nasce da un blend di birre differenti, alcune delle quali invecchiate in botte fino a 2 anni, a cui sono state aggiunte amarene e marasche. Il termine di paragone, più che alle
Kriekenbier del Belgio -
una a caso - di beverinità parimenti spigolosa ma meno cerebrale, a mio modo di vedere va fatto con le monumentali Sour Ale americane, a partire dalla
Supplication che è la regina di tutte quante. Paragone che è anche di prezzo, anche se in verità queste ultime costano qualche dollaro in meno. Purtroppo per voi è un paragone che per essere portato a termine richiede un volo aereo intercontinentale...
Questa Sour Ale è buona, complessa ed estremamente particolare come è lecito aspettarsi... Declinare il particolare significa parlare di note lattiche, di yogurt intero, e soprattutto acetiche, frutto dell'inoculo di batteri selezionati, quindi una birra difficile, impervia, non per tutti, dedicata a palati temerari che hanno sdoganato asprezze taglienti come una katana. Tutto questo reso ancora più elaborato e complesso dall'apporto di amarene e marasche che declinano il naso su queste note di frutti rossi, avvolte da cenni nobili di ossidazione dovuti alla lunga maturazione. Si diceva però di quanto è alta l'asticella da saltare e allora non posso non rilevare l'eccessiva avarizia - neologismo descrittore che mi sono appena creato - di questa birra, che per ogni istante di piacere richiede altrettanti sforzi di dedizione fideistica da parte del bevitore, una prova di forza con questa acidità che non trova dolcezze su cui planare, come la tipologia può prevedere, ma che si rivela infine un po' troppo brutale. Anche la complessità è sì notevole, ma non mi appare di profondità oceanica. Non posso poi non storcere il naso di fronte ad un acetico che vira troppo sul silicone. E nemmeno chiudere un occhio sul robusto finale sapido che muta e si adagia su sensazioni sanguigne, metalliche, che dominano il palato e un poco affliggono.
Quisquilie, forse, per chi è di casa nel territorio tanto impervio del brivido acido. È pure una birra che ha appena vinto la medaglia d'oro fra le Birre Acide al concorso Birra dell'Anno, e qualcosa vorrà pur dire. Ma dicevamo, l'asticella da saltare è molto alta. E se avete il budget e volete tentare il volo di Sotomayor, per restare fra le Lune, forse partirei - mi si perdoni l'ossimoro - da
L'Ultima.