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“La cultura del bicchiere” è il tema della masterclass proposta da Italesse a Merano. Un viaggio per l’olfatto e il palato per comprendere quanto il calice incide sulla qualità dell’esperienza di degustazione
Al Merano WineFestival le degustazioni sono consuetudine. Durante il quarto Tour di Cucchiaio, con Italesse, di cui vi abbiamo raccontato la storia e la visione, abbiamo sperimentato una masterclass dal percorso inedito, di esplorazione oltre che di assaggio: un’esperienza dall’esito sorprendente. Helmut Köcher, dopo la partecipazione alla masterclass proposta dell’azienda triestina, riconosce “ho iniziato a osservare la struttura del vino in relazione alla struttura del calice”. È così, questa degustazione è un’esperienza che segna un prima e un dopo nel consumo del vino. L’attenzione al calice che lo contiene crescerà, passando per il vetro, il peso, il volume e la forma e rendendo l’assaggio più consapevole e pieno.
Prima di cominciare Paolo Lauria, sommelier oltre che Responsabile Marketing di Italesse, ci ricorda cosa “dà poeticità e rende ogni vino unico”. La comprensione dei fattori che influenzano il vino è il solido punto di partenza della nostra esperienza. “Suoli differenti danno sensazioni differenti al vino, di struttura, eleganza e aromaticità. Così come i diversi vitigni, il ciclo della vite, il passare del tempo e le condizioni climatiche”. Fondante anche il lavoro in vigna e in cantina, in tutte le sue fasi, fino all’affinamento, che conferisce al vino la sua componente aromatica e una struttura sempre unica. Tutti elementi, naturali e umani, che vanno sotto il nome di terroir che, riassume Lauria, “ha una sua emozionalità”.
L’assunto ora è chiaro, se ogni vino è il risultato di una combinazione esclusiva ed è perciò unico, come può un solo calice essere in grado di valorizzarli tutti, senza appiattire o disperdere questa ‘emozionalità’? Tanto più nella ristorazione, dove alcuni vini promettono esperienze esclusive a fronte di un prezzo altrettanto esclusivo. Ecco che il concetto di calice universale, in antitesi con quello di unicità, rischia di spezzare un equilibrio che parte da lontano.
Anche la filosofia del calice varietale che cambia in funzione del vitigno non è soddisfacente, secondo Italesse “ha rappresentato una novità assoluta, ma ancora non ci sembrava la soluzione. Come fanno un pinot nero dell’Alto Adige, uno della Borgogna e uno della Toscana, con terroir profondamente diversi, a essere degustati nello stesso bicchiere?”. Ma allora qual è la strada? Italesse ha scelto di studiare le strutture dei vini e come mutano al cambiare delle forme dei bicchieri. Per farlo, ha identificato un suo metodo di studio, destrutturando il vino in aromi, come il ribes, i lamponi e il pepe nero, che rappresentano eleganza, complessità, intensità, freschezza e morbidezza. Questo ha permesso di intervenire sull’architettura del bicchiere apportando modifiche che migliorano l’esperienza del vino alla vista, all’olfatto e al palato.
La prima parte della masterclass ci fa sperimentare proprio gli aromi nel bicchiere, il loro comportamento olfattivo e la sensazione che ne deriva. Impariamo subito a osservare il bevante, la parte alta del bicchiere, che si può aprire o chiudere, spingendo le sensazioni al palato e al naso. Così le pareti, più inclinate o avvolgenti. E ancora il fondo, che piatto o a punta, può favorire o meno l’ossigenazione.
Inizia la degustazione olfattiva, gli aromi scelti sono quattro: petali di rosa, lamponi, caffè e tabacco. Abbiamo davanti a noi tre calici e ogni aroma fa un passaggio in ogni calice, uno alla volta, in sequenza. Due i gesti olfattivi, a calice fermo e dopo aver ossigenato il contenuto (facendolo roteare, come si fa con il vino).
Il pubblico è stupito, divertito e impegnato in una nuova grammatica dell’ascolto e coglie la nota floreale e affumicata prima, ed elegante poi. E le variazioni di bicchiere in bicchiere si manifestano ai nasi in un concerto di aggettivi che la combinazione suggerisce, senza forzature. Note eleganti ed equilibrate si perdono al passaggio successivo, in un bicchiere più ampio. Si manifestano note acidule ma si perdono poco dopo in una ballata di sensazioni che cambiano di poco o tanto nel loro viaggio di bicchiere in bicchiere. Un viaggio che emoziona anche noi, che cerchiamo la complicità dei compagni di banco e immergiamo i nostri nasi a favor di rosa o tabacco.
Nella seconda parte della masterclass c’è il vino nei bicchieri, e la degustazione questa volta è al palato oltre che all’olfatto. L’attenzione è più alta dopo l’esercizio sugli aromi e capiamo rapidamente che un bicchiere ampio può non dare la spinta giusta alla complessità di un Pinot nero, più adatto a un calice da Chardonnay. Sperimentiamo come davvero forma e ampiezza della coppa possono influire sulla percezione della complessità e dell’eleganza di un vino, pur mantenendo attiva la nostra soggettività.
Il progetto Senses parla soprattutto al mondo professionale ma cosa possiamo mutuare nella nostra quotidianità ora che abbiamo capito che i bicchieri colorati e spaiati, dalle forme più istintive, in trend e instagrammabili, sono scelte solo estetiche? Possiamo, in funzione della nostra passione per un consumo di qualità, acquistare qualche bicchiere dedicato ai nostri vini preferiti, per esempio, senza pensare a una credenza nuova o a un trasloco. Possiamo avvicinarci a questa cultura valutando via via quanto è importante sulla nostra esperienza di consumo.
Scriveva Deyan Sudjic* già 15 anni fa, “La preparazione del cibo e la produzione del vino non sono descritte solitamente come design, ma in realtà sono attività strettamente imparentate con esso. E il senso del gusto determina il modo in cui rispondiamo a molti oggetti - non ultimi i servizi in ceramica o il vetro dei bicchieri che usiamo come utensili per i nostri pasti”. Oggi di strada ne è stata fatta e ci è evidente come anche gli oggetti possano determinare il senso del gusto.
* Deyan Sudjic, Il linguaggio delle cose, Editori Laterza, 2008
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