Attualità

Agazzano e il teorema dell'enoacquisto consapevole

pubblicata il 06.03.2012

"Mi spiace, è finito, magari domani mattina" Uno chiede, s'informa, sgomita, sputacchia, si illumina, a tratti si commuove, soppesa, decide e poi, il vino non c'è?! "Mi spiace, ma .." è quello che mi sono sentito rispondere più volte dall'altra parte dei banchetti durante Sorgentedelvino Live, la scorsa domenica, evento racchiuso tra le mura spesse e rimbombanti del Castello di Agazzano. La mia reazione? Uno strano e ingiustificato senso di gioia matura, di felicità eteroindotta, di soddisfazione che azzerava (quasi) del tutto la mia delusione di enofissato, orfano del trofeo stappabile da riportare nella tana. Perché è stato faticoso ma ritemprante vedere tanta, ma davvero tanta gente, affollare le piccole, grandi e poi ancora piccole stanze della dimora che fu degli Scotti-Gonzaga e andar via con bottiglie, cartoni, buste piene di vetri colorati, etichette e felicità. Quello che ho visto domenica è stata la lapalissiana e ripetuta applicazione di un semplice e solido teorema, quello dell'enoacquisto consapevole: la domanda incontra l'offerta naturalbiovinveristica, ci si parla, si raccontano mezze storie e intere verità, si assaggia, ci si guarda negli occhi, si capisce e, se ci si convince vicendevolmente, si compra. La riflessione sembra banale, anzi lo è certamente, ma andatelo a chiedere ai produttori che tra un "vado in furgone a prenderlo se hai pazienza" ed un "finito proprio, scrivimi che ci mettiamo d'accordo sulla spedizione" hanno forse sottovalutato questa esplosione di consapevolezza, questo tangibile interesse per le numerose referenze di qualità dal rapporto prezzo/felicità molto più che ragionevole. Perché, oltre ad aver ritrovato copiose certezze e poche, isolate delusioni, alcune "piccole" meraviglie incontrate per la prima volta avrebbero meritato davvero uno stoccaggio domestico. Dal sorprendente pignoletto rifermentato del Vigneto San Vito, giusto, preciso, dagli spigoli masticabili, all'irraggiungibile moscato passito di Ezio Cerruti, che non smetteresti mai di ascoltare (vale per il moscato e/o per Ezio, decidete voi); dal Boca fine ed elegante delle ragazze del Castello Conti, all'Amarone dai cento profili di Monte dell'Ora; e poi quel pinot nero e barbereggiante di Fabrizio Iuli, il Teroldego dannato e profondo di Redondel, la garganega plasmata in ogni sua forma da Giovanni Menti. Sono un fulmine gli occhi di Marco Tanganelli, quando racconta delle barbatelle di chardonnay che in vigna si scopriranno ansonica, lo stesso fulmine che attraversa i suoi vini, i bianchi in particolare, così personali, diretti, veri. Strepitosa la verticale parallela di pigato e vermentino a cui sono stato meravigliosamente costretto da Fausto de Andreis, Le Rocche del Gatto, dove lunghezza e longevità insospettabili mi hanno spaccato il cuore, trafiggendolo - ne sono certo - irrimediabilmente e .. consapevolmente. C.V.D.

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