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Anteprime| Chianti: il brand più "Made in Italy" che c'è

pubblicata il 20.02.2012

C’è una prima volta per tutto, anche per un’anteprima, e così a dare il via alla settimana vinicola toscana più attesa dell’anno, debutta il Consorzio Vino Chianti, con la presentazione dell’annata 2011 tra gli affreschi e gli stucchi quattrocenteschi di Palazzo Borghese. Probabilmente, a differenza degli altri “rodati” appuntamenti della settimana delle Anteprime toscane, trattandosi di una novità assoluta in termini di presenza e di un “debutto in società” da parte del Consorzio, le caratteristiche enologiche intrinseche della nuova annata presentata sono l’elemento meno rilevante della manifestazione. Tra stampa ed esperti del settore italiani e stranieri, qui si parla di Chianti, perché come dice bene - provocatoriamente e coraggiosamente - il presidente Giovanni Busi (che pure è proprietario di un’azienda di Chianti Rufina) “fuori dalla territorialità locale delle denominazioni e delle sottozone, il Chianti è Chianti”. Questa affermazione che - pur detta con spirito costruttivo e senza volontà di omologazione - farà storcere qualche naso, è in realtà ricca di contenuto, che assume connotati paradossali specie quando ad alzarsi è un giornalista olandese che fa notare che in molti ristoranti italiani all’estero a volte viene presentata una lista vini senza nemmeno il nome del produttore, purché di Chianti si tratti, corredato di fascetta DOCG. Un universo quello del  Vino Chianti, che cuba 105 milioni di bottiglie (lo riscrivo così che fa più effetto: 105.000.000), e il cui Consorzio conta 2.650 aziende, e un marchio che è sicuramente sinonimo di Made in Italy vinicolo in tutto il mondo, insieme al Prosecco, alterego "in bianco e bolle” a farla da padrone sulle tavole straniere. In questa comprensibile parata di orgoglio campanilista, dove il brand Chianti si evidenzia non solo come sinonimo di toscanità, ma anche di italianità, emergono tuttavia temi tutt’altro che cerimoniosi, specie quando si affronta la questione della qualità delle produzioni parlando di un marchio che sta affrontando solo negli ultimi anni una fase di rinascita e maggiore attenzione qualitativa. Quello che è certo è che l’immagine che si vuole valorizzare di questo vino, è quella di un prodotto quotidiano, che per citare l’idealizzazione di Marco Sabellico dovrebbe avere “nerbo acido, frutto provocante e grande bevibilità”. Bando a densi beveroni concentrati e marmellatosi dunque, anche se sarebbe stato meglio sottolineare che auspicare un rinnovamento degli impianti, in una cultura agronomica attuale dove le politiche conservative delle vigne attraverso la selezione dei cloni sono il lait motiv dell’autenticità e sostenibilità dei terroir, era riferito solo a vigne fallate o mal articolate. Ernesto Gentili è intervenuto sul tema del rapporto qualità prezzo del Chianti come driver della diffusione nel mondo di questo vino, nonostante il pricing penalizzi i piccoli produttori rispetto alle cantine sociali o di chi riesce a fare volumi rilevanti. A questo proposito sottolinea che è necessario favorire la sopravvivenza di tanti piccoli produttori, perché la tutela della numerosità e la valorizzazione della riconoscibilità, favorisce il potenziamento della naturale diversità del territorio pur nella similarità della denominazione. A questo proposito interviene Fabio Loi di Conad, uno dei rappresentanti della GDO presenti, canale attraverso cui si muove il maggior volume del Vino Chianti, che mette in risalto come la GDO in questa fase di crisi non abbia particolari leve di promozione del Chianti, a parte il prezzo e che non ci sono molti strumenti di comunicazione sul punto vendita. Insomma, emergono alcune dicotomie. i produttori vorrebbero poter aumentare il valore per bottiglia in virtù di una maggior qualità produttiva raggiunta, il consorzio vorrebbe incrementare la comunicazione per favorire lo sviluppo della cultura del Chianti e i distributori vedono il posizionamento del prodotto come un bene quotidiano e come tale di cui va tutelata l’accessibilità in termini di prezzo. Ciò che è certo è che - anche senza fiasco impagliato e senza indicazione di sottozona – il Chianti è un marchio evocativo, che ha subito sorti alterne, ma che occupa un posto speciale nel cuore di ogni toscano e di ogni italiano, ma anche di molti stranieri che in esso leggono una promessa di quei poetici paesaggi collinari che per ora mi rifiuterò di chiamare “Chianti Valley”.

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