Attualità

Appunti Diviàggio: Reggio Emilia

pubblicata il 08.12.2008

Non scriverò un post di Natale, ed è un ossimoro bell'e pronto. Ma no, non scriverò un post di Natale. Scriverò invece di questa città con cui mi sono congiunto dopo più di trecento giorni, dopo che l'ho abitata per più di vent'anni più di vent'anni fa, e che stento a riconoscere: tanto sono ormai apolide, pellegrino e pendolare di tutto. Per la verità Reggio Emilia è la Via Emilia, e poco altro: dove si facevano le vasche* al sabato pomeriggio per guardare le regazze che guardavano se le guardavi. Ora in vasca* si sente molto più il singultante dialetto arabo del maghreb che il rotolante dialetto del Popolo Giusto: quello che abita tra Santa Croce e San Prospero degli Strinati. In Via Emilia, quando l'arrotavo in bici, c'erano i negozi di lusso: le boutique, si diceva allora. Ma c'erano anche le edicole, librerie, discoteche, caffè, gioiellerie. Ma anche fornai, pizzicagnoli, modellisti, negozi di strumenti musicali. Ora è tutto asfaltato dalle catene di fanchising, dalle griffe. E naturalemente, dalle banche. Negozi sterminati, favillanti di luci finte come la plastica di cui son fatti i manichini: bellissimi automi in taglia quarantadue. Libreria sull'addome lui, gambe chilometriche e petti a triangolo lei. Finti. Cammino e guardo la città che non è più mia, grassata al mio ricordo da una civiltà con cui temo di aver perso il contatto. Appesi per aria scudi crociati con la croce di Matilda, che qui se non sei matildico non hai memoria storica. Per ritrovare quel *che* di reggiano devo abbandonare la via dello struscio, e tuffarmi sotto il Broletto o nelle vie parallele, quelle piccoline in cui riconosci ancora il piscio dei gatti e i vasi di spargina e, sempre più raramente, l'aroma penetrante del cavolo cotto. Lì trovo qualche negozio di prodotti ittici conservati, guidato dall'afrore della salamoja, o una gastronomia non ancora travestita da Gastronomia con le bottiglie di Murano e i prosciutti firmati. Capitombolo nel solito negozio, ancora resiste: sparita la Camiceria dal 1891, che ricordavo fin da bimbo, sparito il negozio di miele e formaggi. Sparito l'arrotino, lì all'angolo. Scomparso il negozio di penne stilografiche. No, si è solo spostato più dentro, dove l'affitto è più umano. Nel solito negozio, la solita signora ciarliera, mi porge il calzascarpe. Il solito pajo di scarpe cucite a mano, e buonasera. No, non scriverò un post sul Natale. *Vasca: il tratto di portici che va da via Roma a Porta San Pietro, sul lato di detra dando le spalle a Piazza del Monte. Che al tempo dei cellulari s'ha d'esser precisi.

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