"Ogni passione veramente profonda contiene in sé il suo contrario" M. Soldati
Si deve ricominciare a parlare di passione, sono tempi grigi, scoloriti, freddi, i criteri della morale autonoma kantiana sono svaniti sotto i colpi dello spread gotico, delle dimissioni pontificie, degli chef televisivi e della scampagnata elettorale. Non possiamo più fidarci della (nostra) ragione, sia questa pura, critica o immorale.
La passione, invece, muove e smuove, con o senza spiccioli, con o senza risultati; la passione è quel sentimento oscuro, disperatamente teso alla felicità, che spesso si fa reale, diventa pratica, che ti fa sporcare le mani e non ti fa sentire la stanchezza.
Domenica scorsa la passione di tre personaggi molto raccomandabili e poco raccomandati è stata la molla iperpropulsiva di una degustazione matta, sciolta, libera: #barbera3, giornata torinese che nasce sulla scia di quelle degustazioni che partono e rimbalzano nella rete, assaggi raccontati e proposti da appassionati seriali, maniaci monovitignici e non. La platea, in realtà, era composta della stessa sostanza di chi la plasmava, soltanto arricchita dalla presenza preziosa di alcuni coraggiosi produttori.
Luigi Fracchia, Vittorio Rusinà e Niccolò Desenzani sono amici da bar e hanno voluto raccontare la loro selezione di Barbera eroiche con scanzonata dedizione: 8 assaggi, 8 produttori diversi, 8 storie, un solo vitigno. Sono passati per i calici del
Contesto Alimentare, ospite squisito, le Barbera che significano un percorso fatto di ricordi, di storie, di sacrifici, di errori, di tempo, di rispetto.
Così si è potuto ascoltare delle vigne vecchie nell'astigiano di Ezio Trinchero (il Vigne del Noce 2006, schietto, tipico, profondo), della sensibilità straordinaria di Nicoletta Bocca e della sua Barbera langhetta (l' Austri 2006, ruvido ed elegante), si è ascoltato Stefano Bellotti (Cascina degli Ulivi) raccontare le difficoltà dell'agricoltore che fa vino, dei problemi reali e legali, della fatica e della soddisfazione nel saper aspettare, nell'avere il coraggio di attendere 5 anni, "mi piace quello che è successo" dice Bellotti davanti al suo Etoile du Raisin 2007. E piace pure a noi questa Barbera (con un piccolo franco di Dolcetto), questa sintesi del pensiero enoico di Stefano: "la vigna deve unire geologia e luce" dice e il bicchiere che si svuota sembra quasi annuire, sornione.
Si sono bevute le Barbera figlie di scelte, volute o capitate: Bera, coraggioso e controcorrente, per il suo sottile Ronco Malo 2010 usa il cemento, unico a Canelli, e poi Giuseppe Ratti, con la sua Barbera della piccolissima azienda di Variglie piegata dalle regole e in fermo attività dal 2007, che pure produce per se stesso e per pochi amici un vino ancestrale, un esempio di come dovrebbe essere e come forse non sarà più una Barbera grandiosamente, semplicemente da tavola.
E poi la Barbera Casalese (Tenuta Migliavacca 2011) di Brezza, viva e vibrante, perfettamente riconoscibile dentro il filo logico, dolce e acido, tracciato attorno a tutte queste Barbera piemontesi, diverse, a volte distanti, ma sempre identitarie.
L'assaggio dell'intrusa, il profumatissimo Vidur 2011 di Enrico Togni, un vino di montagna, della Val Camonica, ha allargato lo sguardo e ha riportato l'attenzione sulle potenzialità e le qualità di questo vitigno, sulla sua capacità di adattarsi a climi e terreni così diversi e bruschi.
La giostra di bicchieri e parole si è spenta dentro il tannino dolce del Respiro di Vigna di Carussin (San Marzano Oliveto, AT), un bicchiere surmaturo, appassito, lieve eppure personale, non semplice.
Una giornata appassionata. Di passione.