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Birra | Di cosa parliamo quando parliamo di India Pale Ale

pubblicata il 04.10.2011

DISCLAIMER. La foto pubblicata non è stata selezionata dall'autore. Molti la riconosceranno, in ogni caso tale birra non viene trattata nell'articolo. Allargate i vostri orizzonti, un mondo migliore di Brewdog è possibile, non ci vuole neanche troppo sforzo. :-) Se siete lettori di questo blog probabilmente sarete molto più avvezzi all’underground vinicolo o gastronomico, eppure sono certo che se vi siete mai intrufolati in qualche dibattito web fra birrofili o avete passato una bella serata in qualcuno degli oramai numerosi e ottimi pub italiani, qualche contatto con le famigerate IPA, AIPIEI per gli amici, lo avete già avuto. Che sia uno dei pischelli delle temibili legioni di hop head romani che alle vostre spalle implora il publican “aò, famme la più amara che’cciai!”, che le abbiate trovate immancabilmente alla spina o in bottiglia in qualche lista, difficile se avete un qualche interesse per questa bevanda che non siate finora mai incappati nello stile più modaiolo dell’ultimo decennio, replicato e reinterpretato in ogni salsa. E’ tempo di fare chiarezza. Cos’è una IPA? E’ un birra di stile anglosassone, quindi non molto caratterizzata dagli esteri del lievito, di colore che non va oltre il ramato, di buona alcolicità e attenuazione, la cui caratteristica principale è una decisa luppolatura ed un amaro piuttosto intenso. Da qui in avanti le cose si complicano. Meglio quindi partire dalle origini. Se avete mai assistito ad un degustazione o letto qualche libro, vi avranno magari raccontato che le IPA sono nate in Inghilterra durante l’epoca coloniale, create appositamente per le colonie. E’ una leggenda, e come tutte le leggende va presa con le pinze. Se alcool e luppolatura sicuramente aiutano la conservazione, in realtà non c’è alcuna evidenza del fatto che una ricetta con queste caratteristiche sia stata davvero creata per resistere al lungo viaggio ed a climi più caldi. Semplicemente, come molti grandi stili storici, lo stile IPA è nato grazie alla combinazione di tre fattori: tradizione, caso ed evoluzione. Chi è interessato e masochista può approfondire leggendosi il libro di Martyn Cornell, grande storico della birra britannica. Io ve la faccio breve: fra le tante birre esportate a quell’epoca in India, la Hodgson esportava anche la sua birra stagionale di ottobre, che era una ale piuttosto chiara, robusta nell’amaro, di buona alcolicità. Alcolicità comunque non superiore alla norma dell’epoca, solo in tempi più recenti le bitter da 3.5%/4% sarebbero divenute la ale britanniche tradizionali per antonomasia. Stiamo parlando di birre molto diverse da quelle che potremmo bere oggi: il processo produttivo e le conoscenze tecniche erano ovviamente più arcaici e le birre potevano maturare in botte anche per molti mesi. E’ cambiato molto anche il nostro gusto: oggi una birra fortemente luppolata viene bevuta giovane quando gli aromi sono più freschi, all’epoca birre con le caratteristiche delle stagionale della Hodgson potevano essere destinate a lunghe conservazioni ed è lecito immaginare anche qualche acidità dovuta a contaminazioni batteriche. Non a caso erano birre secche, molto attenuate, per ridurre questo rischio. Il lungo viaggio verso l’India e gli sbalzi climatici durante la conservazione resero questa birra stagionale differente, più complessa e particolarmente gradita ai britannici d’India. Col tempo questa pale ale divenne sempre più popolare nella colonia, ma fu solo quando quando i birrifici di Burton, che potevano contare su un'acqua ricca di solfati di calcio particolarmente adatta alle pale ale luppolate, cominciarono ad imitarare la stagionale di Hodgson esportando a loro volta che l'identità di questo stile si affermò divenendo un successo inarrestabile in India e poi in patria. Successo che però nel secolo scorso ha visto un declino inarrestabile e la quasi scomparsa dello stile, in molti casi riproposto sul mercato in maniera snaturata. La rinascita e la celebrità gli è stata restituita dalla reinessance birraria americana a partire dagli anni '80, quando i giovani microbirrifici reinterpretarono lo stile originale usando i loro luppoli agrumati e resinosi, tant’è che oggi quando parlate di IPA con qualcuno nel 99% dei casi è sottinteso che stiate parlando di American IPA. Come sono quindi queste IPA e quali sono le differenze? Quelle inglesi possono (ma non necessariamente devono) virare verso l’ambrato e il ramato, con caramello e qualche nota di tostatura, quelle americane sono in genere dorate o leggermente ambrate e sono le note di malto e di miele, più che quelle di caramello, a combattere l’intensa luppolatura. L’alcool (nei dintorni di 6%-7%) tende ad essere più pronunciato in quelle americane, come il corpo e la struttura, più misurata ed elegante quella inglese, più intensa e a volte esplosiva quella americana. La grande differenza la fanno i luppoli: terrosi, erbacei e pepati quelli inglesi (East Kent Goldings, Challenger, ecc.), agrumati e resinosi gli esuberanti luppoli americani (Cascade, Amarillo, Centennial, ecc.). E’ un po’ la differenza che passa fra una Jaguar e una Corvette: una più sobria, elegante, aristocratica, l’altra divertente, vistosa, prestazionale. Se possibile, meglio averle entrambe in garage. L’enorme successo delle American IPA (American India Pale Ale, non ha senso, lo so, prendetelo come un’etichetta, hanno inventato anche le Black India Pale Ale prima di accorgersi dell'ossimoro…) ha portato alla nascita (spesso a tavolino) di tanti figli e figliocci dello stile, sempre in salsa ketchup americana: Imperial (o Double) IPA, Belgian IPA, Imperial Red Ale, American Black Ale (le già citate Black IPA) e vari sottostili, con annessi equivoci e confusioni. Non è un caso se in Italia capita che vi propongano come A-IPA una birra ambrato carico di 8.5% dai forti toni caramellati: magari è favolosa, sicuramente ha una carriola di luppolo dentro, ma non è una A-IPA… Qualche nome reperibile? Sulle A-IPA non dovete faticare molto. Girano a rotazione parecchie etichette americane nei pub specializzati, come quelle di Rogue, Port Brewing, Southern Tier ed altre altrettanto valide, e girano un numero spropositato di etichette di birrifici nord europei molto modaioli e prolifici (fanno nuove birre in continuazione per gli amanti del safari birrario, spesso in stile A-IPA e dintorni). La Titan IPA di Great Divide dovrebbe essere semplice da trovare. Poi faccio lo sciovinista e vi do due nomi italiani: la BIA IPA del Birrificio Ducato, la trovate anche al supermercato, esempio paradigmatico di A-IPA garbata, e la Spaceman IPA di Brewfist, una West Coast IPA, cioè una A-IPA come la fanno a San Diego, quindi più brutale nell’amaro, quasi una Double IPA. Sulle E-IPA è più difficile: in patria non sono poi così di moda e, come altri stili britannici, si stanno un po' imbastardendo per l’introduzione di piccole aggiunte di luppoli americani. Sono ottimi luppoli, ma non amo queste commistioni: meglio “coniare” un nuovo stile e preservare l'identità dell'originale evitando questi ibridi a mio parere, anche se in verità non è sempre semplice fare queste distinzioni. Vi dico Meantime IPA, consci del fatto che (tranne le dovute eccezioni) una ale britannica in bottiglia non è che una pallida imitazione della versione in fusto. Per i più coraggiosi desiderosi di esplorare il nuovo nuovo ci sono le Pacific IPA (o come diavolo si chiamano, non hanno ancora coniato il nome), che usano anche luppoli provenienti da Australia, Giappone, Nuova Zelanda, con sentori che variano dalla frutta matura, al cocco, all’uva spina, ai frutti tropicali. Se usati con parsimonia arricchiscono, altrimenti annoiano. Vi consiglio la Kipling di Thornbridge e (nonostante l’obolo da versare al mio amico Bruno Carilli) la Zona Cesarini di Toccalmatto.

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