Attualità

Birra UK | Approfondimenti propedeutici ad una seria analisi postmodernista

pubblicata il 26.08.2011

Avrei una montagna di aneddoti da scrivere sulla mia ultima trasferta londinese, specialmente ad un pubblico di lettori che immagino poco avvezzi alle meraviglie brassicole della tradizione britannica. Ma se il tempo è tiranno, la pigrizia è despota. Mi limito ad un flash con divagazioni su una situazione che mi ha un po’ fatto girare i cosiddetti in una settimana di successi birrari. Se molte considerazioni appariranno un po' da iniziati come dice il Caffarri, chiedo venia e spero di incuriosire riguardo ai mondi fantastici (o fanatici?) che si celano dietro la fatidica pinta. C’è dibattito fra i maître à penser del luppolo su cosa debba essere l’innovazione e la ricerca nel mondo della birra e quali strade sia preferibile battere. Oggi che questo tema è il motore principale del marketing low cost dei nuovi birrifici rampanti, i dibattiti si sono fatti infuocati per amore di polemica e per smuovere le coscienze, per quanto i giudici ultimi del tribunale popolare - quindi non necessariamente equo - chiamato mercato siano sempre i palati ed i portafogli dei tracannatori finali. Londra è in questi anni uno specchio evidente dello scontro sotterraneo in atto. Immersa in una tradizione secolare difesa a spada tratta dal CAMRA, è stata per anni piuttosto sottodimensionata rispetto alle legittime aspettative dell’appassionato beer hunter viziato. Escludendo i grandi festival, viste le abitudini ed il consumo pro-capite bitannico, in una città che viaggia verso i 10 milioni di abitanti, sarebbe stato lecito attendersi qualcosa di più di una sola manciata di pub con a disposizione una potenza di fuoco superiore a 5-6 hand pumps di Real Ale (le birre della tradizione britannica, cioè le sole birre “vere” dell’isola). Non sto ovviamente parlando di scarsità di pub storici e dall’inimitabile fascino fuori dal tempo, quelli non son mai mancati, ma di offerta birraria in termini quantitativi, visto il numero rilevante di piccoli birrifici locali nelle isole britanniche. Per capirci, in California è d’uopo trovare nelle cittadine di provincia locali che arrivano tranquillamente a 20-30 spine. A Londra, i nostalgici come me si rintanavano a scolarsi pinte in posti come il Wenlock Arms, il più marcio dei pub londinesi di qualità oggi purtroppo a rischio chiusura, un “pisciatoio con la filodiffusione” come dice un mio amico, uno dei miei 3 locali preferiti al mondo, senza nessuna concessione a chi aspiri a qualcosa di più che bersi una Crouch Vale davanti ad un publican sdentato. Oggi le cose stanno cambiando. Qualcosa si muove, soprattutto sul versante “modernista”, maniera con cui amo definire la new wave che cerca di andare oltre l’approccio e le proposte tradizionali, originatasi negli USA ed oggi reincarnata (qualche volta scimmiottata) un po’ ovunque. Nella faretra degli innovatori le frecce sono diverse: soprattutto uso ed abuso di luppoli dei nuovi mondi, resinosi ma anche con sentori di frutta esotica, uva spina, cocco, birre monoluppolate (vi chiederete voi per analogia: ma in cucina la grandezza di un cuoco non dovrebbe stare nella composizione di più ingredienti diversi? come siete retrogradi…), alcolicità da fare invidia ad una pompa di benzina, ingredienti del territorio, ingredienti oltre l’improbabile (ghiandole di castoro, non sto scherzando), mosto di uva, uso di vari tipi di botte, e chi più ne ha più ne metta. E’ una ricerca necessaria, direi vitale per un mondo, quello della birra, privo dei lacciuoli stringenti e propriamente agricoli del rispetto della materia prima e del territorio che giustamente sono patrimonio e identità di quello del vino. Che l’orzo venga dal Sudamerica o dalla Russia non interessa a nessuno, che un birrificio del Michigan usi luppoli neozelandesi è all'ordine del giorno, l’identità di uno stile di birra è radicato nelle tradizioni sociali più che nei terreni ed è in continua evoluzione. E’ una ricerca che a volte però risulta solo fine a sé stessa ed allo sgomitare in cerca di riflettori di taluni birrifici. I risultati sono talora entusiasmanti, altre volte accademici, altre ancora noiosi o inutili, il portafoglio ne esce spesso alleggerito e non di rado si agita una domanda prima dell'oblio alcolico: ma una pils come dio comanda non era meglio? I modernisti sono arrivati anche a Londra. Fin qui tutto bene. Qualche birrificio calca un po’ la mano con le luppolature, i luppoli americani negli stili tradizionali sono oramai sdoganati, le bitter diventano sempre più golden - come denunciava qualche anno fa Roger Protz sulla rivista del CAMRA - , le Imperial Stout muscolose sono sempre più diffuse. Fin qui tutto bene. Qualcun altro, con un birrificio grosso come il mio garage, propone il triplo delle etichette che produce la Fuller’s, di cui una buona metà abbastanza da circo equestre fatto solo per sorprendere. Mmm… L’importante è che siano buone, e qualche volta lo sono, perché spesso i modernisti sono anche più preparati, o forse solo puliti, di molti “arretrati” tradizionalisti. Poi sono arrivati gli importatori, con birre modaiole (spesso buonissime!) da tutto il mondo. A prezzi che sembrerebbero eccessivi in Italia, per gli standard dei pub londinesi vi puntano direttamente un’arma da fuoco mentre scontrinano. Ma non facciamo i pezzenti per una volta e chiediamoci: se io di certo non vado a Londra per trovare tutte le spine di Mikkeller single hop (vado in Danimarca, o a Roma al limite, se proprio devo), cosa ne pensano i londinesi? Facile: i soldi in tasca ci sono ancora e con 8 milioni di abitanti c’è spazio per tutti. Ci ho provato, al Cask Pub & Kitchen di Pimlico. Giornata di presentazione delle birre di Kernel Brewery. Giornata sfortunata, fuori un caldo insospettabile per Londra, dentro un caldo opprimente e un delirio di gente. Ma non è colpa loro, e sorvolo su un ambiente che ricorda più qualche locale degli States di quelli sciatti che un glorioso pub vittoriano, compresi i ragazzotti dietro al banco che pompano a nastro, con un’ansia poco british, mentre un cartello invita la gentile clientela  una volta servita a levarsi dai piedi alla svelta dal bancone visto il pienone. Dai, c'è casino, ci sta… Sul fianco troneggiano frigoriferi ripieni di delizie americane introvabili. Ci sarebbe da divertirsi, se fossi lì per quello e munito di uno stipendio della City. Formazione della batteria di pompe e spine. Sulla fascia sinistra del bancone, spillati a pompa, prodotti di birrifici inglesi dal taglio più o meno moderno, mezza pinta abbondantemente sotto i 2 pound e in linea con la concorrenza. A centrocampo, birre di Kernel a pompa, stili moderni con ampie incursioni ultra-modaiole, 2.5 pound la mezza pinta. Son piccoli, costano uno zic in più… Sulla fascia destra, sempre birre di Kernel ma alla spina, stili moderni con ampie incursioni ultra-modaiole esattamente come i precedenti, 3.5 POUND la mezza pinta… Vi risulta che la CO2, necessaria per spillare la birra alla spina, incida per circa 2 POUND al litro rispetto alla tradizionale spillatura manuale a pompa che immette aria? A me no. Avverto un leggera sensazione, come di qualcuno che vuole prendermi per scemo dicendomelo pure in faccia. La Dark Arts di Magic Rock, stout robusta presente sulla fascia sinistra low cost, era davvero eccellente. Per Kernel ci saranno altre occasioni… Peccato perchè son pure bravi.

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