Bugie, chiacchiere, crostoli, frappe e galani: l’Accademia della Crusca ci spiega i dolci del Carnevale
Ci sono oltre 50 parole per descriverli, distribuite un po’ su tutto il territorio italiano e diverse anche fra località vicine. Ma ce ne sono un paio che forse potrebbero prendere il sopravvento sulle altre
In Italia ci sono 20 regioni e quasi 50 modi di chiamare le bugie. O le chiacchiere, le frappe, i galani, i crostoli, i cenci e i bastoncelli. Le fregnacce, anche. Venti regioni e più del doppio di parole per descrivere i dolci di Carnevale.
Succede perché questi termini cambiano non solo da regione a regione, ma a volte anche da provincia a provincia, se non addirittura da città a città: “Le parole usate per descrivere questi dolcetti sono in effetti fra quelle che variano di più a seconda della località - ci ha confermato il professor Lorenzo Coveri, accademico della Crusca - insieme con quelle per il pane e per marinare (bigiare, bucare, saltare, ndr) la scuola”.
Il Carnevale e l’importanza dei geosinonimi
Tutte queste parole non sono però semplici sinonimi: “Si chiamano geosinonimi, cioè sinonimi legati a un luogo specifico” e in qualche modo geolocalizzati. C’è una scienza precisa che li studia, ci ha spiegato Coveri, che già ci aveva aiutati a conoscere gli italianismi del cibo e svelato (per esempio) che baguette è una parola italiana: “Questa scienza si chiama onomasiologia, mentre i geosinonimi vengono raccolti negli atlanti linguistici (come questo, ndr) e nelle carte geolinguistiche”.
Quelli che descrivono i dolci di Carnevale sono appunto tantissimi (qui ne trovate le nostre ricette), ma prima di elencare i principali, e di provare a capire perché sono così tanti, è necessario fare una distinzione: sono una cinquantina soltanto quelli usati per i tradizionali dolci a forma di nastro o rombo dentellato, fritti (o al forno) e cosparsi di zucchero. Qui ci limiteremo a questi, senza allargare lo sguardo agli altri, cioè quelli di forma rotonda, chiusi, simili a polpettine e fra l’altro tipici di un altro periodo.
Niente zeppole, castagnole, cicerchiata e struffoli, perché “acqua e chiacchiere non fan frittelle”. Che vuol dire? È un vecchio proverbio che ci ha ricordato Coveri: significa ovviamente che i discorsi inconcludenti non portano a nulla, ma in passato serviva appunto anche a distinguere i due tipi di dolci. Che sono due cose ben diverse: da un lato le chiacchiere, dall’altro le frittelle.
Delimitato il campo d’azione, vediamo quali sono i giocatori, sempre con l’aiuto della Crusca. I termini forse più noti e utilizzati, elencati qui in ordine alfabetico, sono:
- bugie (tipico di Liguria, Piemonte e Valle d'Aosta);
- chiacchiere (originario della Toscana ma molto usato anche in Basilicata, Calabria, Campania, Lombardia e Puglia);
- crostoli (anche grostoli, si usa soprattutto in Trentino, Friuli e Veneto);
- frappe (anche frappole o sfrappole, diffuso in Emilia Romagna, Lazio, Marche, Umbria e Toscana);
- galani (arriva dal Veneto, diventa gale in Piemonte).
Non sono tutti, ovviamente: ci sono anche bastoncelli, berlingozzi e cenci (tutti e tre toscani), le rosachitarre molisane, le stelle filanti campane, le fregnacce dell’Aquila e molti, molti altri.
Perché tutti questi nomi?
Tantissimi altri, ma perché così tanti? Da cosa dipende tutta questa varietà? La scelta dei termini usati per descrivere i dolci di Carnevale è ovviamente legata alle tradizioni delle varie località, ma almeno un paio di spiegazioni lessicali ci sono, e secondo Coveri hanno a che fare con “3 nuclei semantici e 4 motivazioni”. Di seguito le spieghiamo nel dettaglio.
I nuclei semantici sono legati al significato letterale della parola usata per descrivere il dolce, che può essere riferita: al concetto di vacuità e vuoto (chiacchiere e fregnacce sono vuote di significato come i pettegolezzi, le bugie sono vuote di verità e così via), a quello dello sbriciolamento o anche alla forma (in veneto, galani significa nastri).
Le 4 motivazioni sono simili ma sono più legate alla fisicità del dolce, che si chiama come si chiama: per la forma che ha (i galani, come detto), per la croccantezza (i crostoli), perché deriva da materiale di scarto o di recupero (i cenci) o semplicemente perché è vuoto (bugie e chiacchiere).
Ne resterà solo uno?
Quel che è certo è sembra impossibile stabilire quale di questi geosinonimi sia nato prima (“è molto difficile”, ci ha risposto Coveri quando gliel’abbiamo chiesto) e anche capire se prima o poi uno prevarrà sugli altri: “Spesso si arriva alla cosiddetta unificazione, come accadde per esempio per lavabo e lavello, con uno dei termini che diventa dominante e assume valenza nazionale. Ma qui nessuna regione mi sembra disposta a cedere il suo nome”.
E però, un paio di parole che avrebbero qualche chance in più per farcela ci sono: “Il toscano chiacchiere è forse quello più usato, e viene utilizzato spesso anche nei supermercati, che è dettaglio importante”, ci ha fatto notare Coveri. Perché? “Perché la grande distribuzione è forse l’unica che ha la forza produttiva e distributiva, capillare e uniforme su tutto il territorio, per far emergere una parola rispetto a un’altra”. Chiamando il prodotto allo stesso modo dappertutto, insomma. E l’altra parola qual è? “Frappe, semplicemente perché è di Roma”. E come tutto quello che arriva da Roma, ha decisamente la possibilità di prendere il sopravvento sul resto.
E all’estero come si dice?
In attesa di capire se davvero in Italia si arriverà a un’unificazione delle parole usate per i dolci di Carnevale (onestamente crediamo di no), abbiamo chiesto a Coveri, che ha approfondito parecchio l’argomento insieme con la collega Matilde Paoli, della redazione di consulenza linguistica della Crusca, se una simile varietà si ritrovi anche all’estero.
Non nei singoli Paesi, ma a livello europeo decisamente sì: “In Lituania ci sono i chruschik, citati nel bel libro La vita meravigliosa dei laureati in Lettere del collega Alessandro Carrera, in Polonia si chiamano chrust (simile all’italiano crostoli, ndr) oppure kòlaszek, un’altra parola legata alla forma del dolce, perché significa favoriti (i baffi, ndr), mentre in tedesco austriaco si usa scherben, cioè frammenti di vetro”. Che ci sembra onestamente meno evocativo di bugie e chiacchiere, a dire il vero.
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