Quando una pizza è davvero buona: Simone Lombardi ci svela i trucchi infallibili per riconoscerla
Con la pizza nel piatto bisogna attivare i cinque sensi, per comprenderla in tutto e per tutto, e per capire se è davvero buona. Ossia preparata a regola d’arte.
Chissà quante volte siamo rimasti svegli di notte con indomabile arsura. Ecco, sappiate che qualcosa nella lievitazione è andato storto. Poi ci sono i tempi di cottura, le materie prime utilizzate a fare la loro parte, certo.
Dunque, cornicione e alveoli a rapporto. Per riconoscere una pizza di qualità ci affidiamo all’esperienza e alla ricerca di Simone Lombardi, che ha sfornato pizze da Città del Messico ad Andrea Berton (era capo del forno di Dry, ndr), passando per Crosta, in una delle insegne tra le più note di Milano per la pizza artigianale. Le mani in pasta le ha messe da quando aveva 18 anni, quindi come non ascoltare i suoi consigli testati sul campo.
“Quando la pizza è buona? Buono è un termine molto soggettivo, è la digeribilità il vero sinonimo di qualità della pizza. L’impasto, al di là di ogni materia prima di altissima qualità, è il protagonista assoluto.”
Primo requisito (fondamentale): la lievitazione
Come si riconosce che la pizza non è lievitata bene? Semplice come bere un bicchier d’acqua. O forse dieci. Il tempo che passa per avere una risposta va da qualche ora al giorno dopo averla mangiata, e coincide con il bere moltissimo. “Questo accade perché la fermentazione dell’impasto che avviene nella cassetta, continua all’interno dello stomaco e provoca disidratazione.”
Qui entrano in gioco alcuni fattori, come la cultura della materia prima, di quell’arte bianca così affascinante, e, soprattutto, le logiche di produzione che spesso sono orientate alla quantità e non alla qualità. “La logica di produzione finisce per essere strettamente legata ai tecnici della farina e al tal mulino. L’artigiano si prende il rischio di privilegiare la qualità e non la quantità. Succede (spesso, ahimè) che gli impasti siano terminati, e i pizzaioli usino le scorte la cui lievitazione non è ancora ultimata, pur di far uscire centinaia di pizze. La poca digeribilità è data anche da questo, per ottimizzare la produzione.” Dunque si preparano impasti contati? “Un artigiano deve imparare a gestire l’impasto della pizza come il pane, ovvero quotidianamente. Basta pianificare la produzione settimanale guardando la precedente e il calendario, per evitare di rimanere senza impasti o generare spreco.”
Cornicione: il test per capire il Dna della pizza
E qui scatta il vero test alla portata di tutti. Perché se con la lievitazione un po’ è necessario masticare la tecnica della materia, in questo caso occorre un semplice gesto. Spezzare il cornicione con le mani è il parametro vero con il quale analizzare il DNA della pizza. “Se non si spezza e si deve tirare, significa che la lievitazione non è stata corretta. Deve strapparsi gentilmente come un batuffolo di cotone e non essere eccessivamente tenace. La troppa tenacità è sinonimo di amidi non scomposti.”
Consistenza: solo una questione di gusti?
Le pizze non sono tutte uguali. E non solo per le farciture. La consistenza determina gli orientamenti: chi ama la pizza napoletana, chi la romana, chi quella alla pala o la scrocchiarella. Morbida o croccante? Due fazioni contrapposte.
Per capire se la consistenza della pizza è perfetta, oltre al primo sguardo quando ci viene servita, bisogna masticare. E contare. “Le 5/7 masticate sono un parametro di qualità per la pizza napoletana. Più il prodotto è croccante più si mastica, circa 8-12 masticate prima di essere deglutito.” Una regola universale c’è: “Se la pizza è gommosa significa che la lievitazione non è avvenuta correttamente.”
Via con le pizze in forno
La cottura, altro parametro fondamentale, determina la consistenza del prodotto. “Pala, romana, e scrocchiarella sono cotte a una temperatura che va dai 300 ai 400 gradi, dai 2.5 ai 4 minuti. Questo dà friabilità. La pizza napoletana, invece, caratterizzata dalle classiche maculature nere (che non a tutti piacciono per via del retrogusto amarognolo al palato), cuoce a temperature elevatissime: 400-500 gradi per massimo un minuto e mezzo. Così il prodotto è morbido e scioglievole.”
Qualche tips per riconoscere una buona pizza (e una buona pizzeria)
Ordiniamo la Margherita - la pizza delle pizze - termine di paragone comodo e universale. Analizziamo dunque pomodoro e mozzarella. “Il pomodoro non deve essere mai pungente, ma a bassa acidità e con una piacevole dolcezza. Meglio pomodori maturi e a pezzi, non frullati o passati, così da valorizzarne tutti i sentori. Un’aggiunta di olio evo aromatizzato al basilico, e sale, completano il bouquet aromatico.”
La mozzarella che si colora di un brunito che fa storcere il naso. Quante volte è capitato? Spesso. La cottura gentile è la regola. “Io utilizzo Fior di Latte campano, cotto e valorizzato nel modo giusto, evitando l’estrema cottura. La mozzarella deve essere bianca, e non scura (diventa amarognola e non digeribile). La consistenza al palato è soda e plastica. Rigorosamente fresca: se è a lunga conservazione ha poca filabilità. Più sa di latte e si fa riconoscere distintamente dai diversi ingredienti, più è di qualità.”
Gusti bizzarri sulla pizza? “Sì, perché non ci sono confini. La pizza non è un prodotto che ha origini italiane, ma mediorientali, dunque con tutte le contaminazioni possibili. Non mi piacciono le mode che non hanno ragion d’essere (come l’impasto al carbone!). L’ananas l’ho sempre utilizzato, così come la carne di pecora per la mia versione della pizza kebab.”
Vale sempre il less is more per capire se una pizzeria è valida, e utilizza materie prime eccellenti e fresche. Come capirlo? Basta uno sguardo. Al menù. “Meno ingredienti che girano significano più qualità. Se le carte sono lunghe è difficile garantirla. Apri il menù e conta: fra tradizione e pizze creative e stagionali, ci devono essere un massimo di venti pizze, non di più.” Adesso che abbiamo le coordinate, possiamo lasciarci conquistare dal gusto.
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