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Piccante e speziata: una salsa che al primo assaggio ti prende per mano e ti conduce in viaggio verso il Magreb, tra sapori vibranti ed intensi. Avete mai sentito parlare dell’harissa? Un ingrediente versatile che si fa notare: sta bene con tutto, dalla semplice fetta di pane al cous cous, ma anche con carne e pesce, verdura e pasta. Se fosse nostrana (e non nordafricana), la potremmo chiamare tranquillamente “pesto di peperoncino”, ma in realtà è molto di più. Conosciamo meglio l’harissa, chi l’ha resa celebre e come si gusta a tavola.
L’harissa, nome che deriva dalla radice araba harasa, ossia pestare, impastare e maciullare (in Marocco si usa per definire la carne battuta), è una salsa a base di peperoncino tipica della cucina nordafricana. Per spiegarne colore e consistenza, la si associa al concentrato di pomodoro, ed è ottenuta con peperone rosso e peperoncino, olio d’oliva, aglio, coriandolo, carvi e cumino. A volte si aggiunge anche qualche goccia di succo di limone e menta.
Un condimento particolarmente aromatico e incisivo al palato, che spesso compare in piatti della cucina marocchina, algerina e tunisina. L’harissa, per tradizione magrebina, è un ingrediente molto utilizzato per insaporire minestre, insalate e il kebab o il cous cous. In tutto il Nordafrica la si prepara a casa, dopo aver “pestato” gli ingredienti e aver fatto riposare la salsa per almeno 12 ore (così i sapori si legano al meglio), oppure la si acquista facilmente nei supermercati, in barattolo e in tubetto. In Italia la sua diffusione non è ancora così comune: la si può reperire in alcuni negozi etnici ben forniti, oppure online (il costo non è propriamente basso: un barattolo da 200 gr oscilla dai 10 ai 20 euro).
L’Harissa intesa appunto come pasta, o salsa, non va confusa con due piatti della cucina araba che portano lo stesso nome: un piatto di carne e grano tritato e bollito, e un dolce simile ad un crumble alla mandorla.
La storia dell’harissa che, ad onor del vero non sembra essere antichissima, è abbastanza confusa. Ciò che è certo è che è postuma ai viaggi di Colombo, giacché peperoni e peperoncini prima della scoperta dell’America non erano pervenuti. Come poi siano arrivati sulle coste del Magreb si potrebbero aprire diversi capitoli: furono gli Spagnoli a portarle o i Portoghesi attraverso le rotte commerciali trans-sahariane? Oppure, ancora, potrebbero essere arrivati passando per l’India sui mercati di Alessandria d’Egitto e di Aleppo. Fatto sta che in Tunisia, Marocco, Algeria e Libia è uno dei condimenti più usati in cucina da almeno due secoli.
L’harissa conferisce un tipico aroma piccante alle portate che accompagna. La si usa molto spesso per insaporire il cous cous, a base di verdure, pesce o carne di pollo e agnello; per condire la pasta (qui il rimando più familiare è senza dubbio alla 'nduja); nelle minestre, e nel classico kebab. Questa salsa è spesso servita anche come antipasto, con olive nere spezzettate e fette di pane abbrustolito. Meravigliosa anche con il pesce: a Biserta, la città più a nord dell’Africa, usano cucinare il branzino con un mix di spezie, harissa, e petali di rosa, da accompagnare al riso o al cous cous, e spinaci o bietole saltate per un piatto unico davvero mediterraneo, e dal bouquet di sapori interessanti.
La notorietà, seppur ancora elitaria, dell’harissa, la si deve a Yotam Ottolenghi, una delle star mondiali della cucina. Ha scritto 9 libri di successo planetario - ma per iniziare a prendere confidenza con la sua idea di cucina è bene leggere almeno due di essi: Flavour e Simple - che grazie al melting pot delle proprie radici ha inventato un vero e proprio genere. 51 anni, italiano da parte di padre con madre tedesca, cittadino inglese nato e cresciuto in Israele. Nei suoi piatti, ovviamente, il mix è esplosivo: si trovano influenze israeliane, iraniane, turche, francesi e italiane.
Leggendo le ricette di Ottolenghi, che non richiedono sifoni, sottovuoto, sferificazioni, arie, ecc, e sono quindi simple (si fa per dire, ovviamente), l’harissa è tra gli ingredienti cardine assieme a melassa di melagrana, limoni fermentati, zaatar, sommacco e cardamomo. Per essere precisi la sua salsa magrebina è una Rose Harissa (si trova online in commercio): alla miscela di peperoncini secchi, semi di cumino, olio extravergine e spezie, vengono aggiunti petali essiccati e acqua di rose che mitigano l’effetto del peperoncino e donano un sentore raffinato e dolce-aromatico.
Da replicare per provare l’effetto “bomba di sapore” sono le Pappardelle di Ottolenghi con harissa alle rose, olive Kalamata, capperi, yogurt greco, cipolle e prezzemolo. Ma anche delle anonime carote possono diventare un contorno must se fatte alla Ottolenghi maniera: glassate con miele, harissa, cumino, coriandolo e sesamo, olio evo e sale (tutti gli ingredienti si mescolano in una ciotola e poi si va a condire le carote prima di infornarle).
Siccome l'harissa non è facilmente reperibile in negozi e supermercati, è possibile cimentarsi con la preparazione, seguendo la ricetta di chef Ottolenghi. Occorrono: 1 peperone rosso; 1/2 cucchiaino di semi di coriandolo; 1/2 di semi di cumino e 1/2 di semi di carvi; un cucchiaio e mezzo d’olio extravergine d’oliva; una cipolla rossa, grossolanamente tritata; 3 spicchi d’aglio tritati; 3 peperoncini piccanti, privati dei semi e dei filamenti bianchi e tritati grossolanamente; un cucchiaino di concentrato di pomodoro; 2 cucchiai di succo di limone; 1/2 cucchiaino di sale.
Si arrostisce il peperone sulla fiamma o sotto il grill del forno, girandolo di tanto in tanto finché non si è annerito su ogni lato. Si spella e si levano semi e filamenti bianchi. In una padella antiaderente, su fiamma bassa, vengono tostati i semi di coriandolo, cumino e carvi. E in un mortaio (o in un mixer) si riducono in polvere.
Si soffriggono cipolla, aglio e peperoncini e si trasferiscono in un frullatore con gli altri ingredienti fino ad ottenere una pasta morbida. Dopo aver aggiunto un filo d’olio si conserva in un barattolo sterilizzato nel frigo (e si deve consumare entro due settimane).
Il ventaglio aromatico dell’harissa incuriosisce chef stellati e creativi. All’Osteria degli Assonica, ad esempio, i fratelli Manzoni (1 Stella Michelin) mettono in carta una Trippa di baccalà, porri, pinoli e harissa, un piatto in cui le note piccanti ben si sposano con il baccalà per una spinta di sapore golosa. Harissa e pesce è un binomio che piace molto anche a chef Mauro Zacchetti di AL MALO' cucina e miscelazione a Rovato, Franciacorta, che propone un Rombo alla brace, zuppa di pesce e harissa, tagete e erba sale. “Ho utilizzato l'harissa per scaldare un piatto nella sua complessità: una salsa non solo piccante, ma anche dolce e acidula."
A Cima di Porlezza, invece, il Magreb incontra la Sardegna: lo chef di origini sarde Michele Pili, a La Musa Restaurant & Rooftop Terrace di Aria, porta in tavola la Trota dritta: salmerino marinato all'aceto affumicato e succo di pompia con salsa al Karkadè e harissa “L'harissa, dona una nota leggermente piccante al piatto rendendolo più intrigante - spiega lo chef - un sapore che si sposa con la nota agrumata della pompia tipica sarda.”
Ora che abbiamo imparato a conoscere questa salsa, che la si prepari come Ottolenghi, la si abbini al più tradizionale dei cous cous o ci si lasci ispirare dalle variazioni gourmet sul tema degli chef, l’harissa cela una finalità leggendaria: in Tunisia, infatti, serve per misurare l’amore di una moglie per il proprio marito. Più è piccante l’harissa che prepara al consorte, più è forte il sentimento. L’assaggio è a proprio rischio e pericolo. Quando si dice: un amore mozzafiato.
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