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Dinner Club, lo show che racconta l’odissea del cibo italiano

pubblicata il 13.10.2021

Cosa succede se si uniscono insieme tutti i programmi sul cibo e si inietta la capacità del cinema di raccontare le persone e le interazioni?​

I programmi di cucina sono forse i più interessanti da vedere, in questi anni, in televisione. Anche per chi non si interessa alla cucina. Masterchef ha dato un altro passo ai talent show, 4 Ristoranti ha cambiato molto della maniera in cui parliamo di ristorazione e sempre di più quello che era un mondo di ricette diventa il mondo di ciò che sta intorno alle ricette. Era la televisione di prima, quella dei programmi Rai e Mediaset a concentrarsi su come cucinare un piatto, la tv dei buoni consigli per madri di famiglia. Quella moderna invece si concentra sulla cultura del cibo, vuole insegnare tutto senza dare l’impressione di insegnare niente. Dinner Club è l’apice di questa tendenza, uno show che prende i massimi professionisti dell’intrattenimento, e li sfrutta per inglobare tutti gli altri programmi di cucina.

Come sempre per i reality italiani (di qualsiasi forma e sottogenere siano) l’impianto è cinematografico, le tecniche usate e il misto di finzione e realtà, viene tutto dal cinema e ne usa i riferimenti. Una compagnia di amici che sembra quella di Il grande freddo, in cui i dialoghi si sovrappongono, qualcuno sta in piedi e qualcuno a tavola, che condividono riferimenti comuni (spesso il programma finge di intercettare casualmente conversazioni sui film o esperienze di set), dialoga intorno al cibo mentre uno di loro cucina con un’attenzione che sembra venire da Big Night, per la schiettezza che esibisce, o dalle scene casalinghe di Mangiare Bere Uomo Donna. Ed è solo metà del suo fascino.

In ogni puntata, uno della compagnia (per la prima stagione Diego Abatantuono, Sabrina Ferilli, Fabio De Luigi, Pierfrancesco Favino, Luciana Littizzetto e Valerio Mastandrea) prepara la cena, cucina per tutti gli altri. Gli ingredienti e le ricette, oltre a una montagna di aneddoti, vengono dal viaggio fatto assieme a Carlo Cracco. Dentro a Dinner Club c’è Masterchef (con le indicazioni di Cracco dispensate con fastidio e superiorità), c’è 4 Ristoranti (perché in ogni viaggio cenano in uno o più ristoranti, stellati e non, ne esplorano le cucine e il rapporto con certe ricette locali) e un programma più classico come Lineaverde (perché una parte importante ce l’ha l’esplorazione del territorio, della tradizione e delle specificità locali, con tanto di paesaggi).

Tutto è unito da uno sguardo diverso a metà tra la scrittura e l’improvvisazione. Molto infatti di Dinner Club è scritto e preparato, com’è giusto che sia per garantire il risultato voluto. Non sono definite solo le tappe del viaggio, ma anche gli incontri; mostrati come casuali, in realtà non lo sono (lo si capisce perché spesso c’è una videocamera già piazzata nel posto in cui i protagonisti fingono di arrivare casualmente o alle spalle della persona che approcciano al volo). Su questo canovaccio improvvisano gli ospiti, scelti apposta tra chi ha questa capacità.

Dinner Club è un programma di cucina in cui la cucina è solo la ciliegina e che funzionerebbe uguale anche senza. Il cibo è il lubrificante per le interazioni e il pretesto che mette in moto i viaggi, attraverso luoghi tipici e ristoranti stellati. La forma più alta di ristorazione assieme alla forma più popolare, svicolando tutto quello che c’è in mezzo, le due maggiori espressioni di interazione con gli ingredienti. Chi la tradizione la rispetta alla lettera e chi la conosce per rivoluzionarla.

In ogni reality che si rispetti infatti la vera scrittura televisiva è il casting. Se non è possibile scrivere dialoghi o situazioni ma bisogna solo accennarle e poi vedere cosa accade, allora la scelta degli interpreti è tutto. Un occhio più smaliziato sa, ad esempio, che Diego Abatantuono e Fabio De Luigi hanno fatto diversi film insieme, Valerio Mastandrea e Pierfrancesco Favino anche. Oppure che Fabio De Luigi e Luciana Littizzetto hanno lavorato insieme a Mai Dire Gol e via dicendo. E anche chi non ha lavorato insieme è scelto per contrasti e vicinanze. Nella grande tavolata Sabrina Ferilli, che tende a dominare, è seduta accanto a Fabio De Luigi, che è più remissivo, e così Luciana Littizzetto e Valerio Mastandrea.

Unendo tutto questo l’idea di Dinner Club è quella di un programma che riesce a raccontare la parte più profonda della cucina, cioè la convivialità, la condivisione del cibo come esperienza sociale. Tutti sono presi in giro e si prendono in giro (senza escludere i personaggi che incontrano nei viaggi e le pietanze stesse), sottraendo la cultura del localismo e della tradizione al reame del sacro cui l’ha confinata la tv generalista. Come detto per farlo vengono usate le armi del cinema e della messa in scena. Ogni viaggio infatti ha una sua colonna sonora specifica, e si svolge su un mezzo di trasporto specifico che chiaramente genera immagini specifiche. Le grandi panoramiche del macchinone all’americana per Abatantuono, le videocamerine sulla bici per Mastandrea, quelle fissate sul camper per Luciana Littizzetto ecc. ecc.

Questo è un programma non solo costoso ma anche ricco di idee e di lavoro, in cui (arma definitiva del cinema) il montaggio crea tutto. Non è difficile notare che spesso i piani d’ascolto sono falsi, cioè vengono affiancate battute a espressioni e reazioni che nella realtà non si sono svolte in modo sequenziale, che appartengono a momenti diversi della storia fra i personaggi. Si creano interazioni mai avvenute come le vediamo, per agevolare un certo tipo di racconto.

Se certe interazioni non si possono ricreare con il montaggio, o quantomeno non avrebbero la stessa forza e non darebbero la stessa idea di divertimento e leggerezza, è anche vero che molto viene aggiustato e suggerito con degli stacchi ad hoc o inquadrature particolari. Molto cioè è costruito a posteriori perché, di nuovo, più delle ricette e della spontaneità (che sono i mantra di altri talent e altri reality) qui conta il racconto di come viviamo la tavola e come attraversiamo il nostro paese. 

Impressiona vedere in una trasmissione televisiva un piano sequenza breve all'indietro come quello che segue Valerio Mastrandrea e Carlo Cracco mentre si allontanano da un produttore di fichi del Cilento, lasciandolo lontano sullo sfondo. I due non parlano per diversi secondi, quando sono abbastanza lontani da non essere sentiti viene spiattellata la battuta che farà inevitabilmente ridere. Sono soluzioni molto sofisticate e complicate che qui sembrano riuscire sempre.

Nel complesso sembra un modo davvero maturo di presentare e raccontare ingredientivarietàcomplessità e struttura della filiera del cibo italiano, dai produttori fino alle cucine degli stellati, seguendo preparazioni, variazioni e tantissimo lavoro, e poi buon ultimo la tavola di una casa presentata come molto comune. L’Odissea del cibo italiano.

di Gabriele Niola

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