Attualità

Enologica 2012 | Georgia in my mind

pubblicata il 19.11.2012

Nicola Finotto - se non portasse gli occhiali e non avesse quella barba fratesca - potrebbe tranquillamente posare per il Discobolo 2000, con quell'accidenti di fisico. Poi si siede e comincia a parlare con voce ferma e sicura di flavonoidi eccetera. Dopo aver compreso che non si tratta degli invasori alieni di un film di fantascienza americano degli anni '50, ti rendi conto di quanto questo giovine si sia compenetrato con la storia e la sapienza ancestrale dei vigneron georgiani. A Enologica - la manifestazione eno-gastro faentina curata da Giorgio Melandri - il merito di avere puntato su di lui per racconti precisi e circostanziati su quel miracolo vinicolo che sono i vini pompati via dai kvevri - le anfore interrate - del paese mediorientale. Visto che a me toccava il grato/ingrato compito di descriverli, questo resoconto rischia di avere un grado elevato di autoreferenzialità: faccio ammenda fin da subito, dicendo che se da un lato è stato veramente impegnativo cercare la descrizione di una alienità così spinta, dall'altro il pubblico stipato in ogni ordine di posti ha risposto come si deve: attivamente e criticamente. Criticamente di più. I vini georgiani sono complicati anche come paradigma: poco e nessun interesse per il millesimo, azzeramento dei descrittori tradizionali, espressioni tanniche micidiali nei bianchi, disallineamento tra occhio-naso-bocca. Sono complicati anche da pronunciare, i nomi dei vitigni: Rkatsiteli, Saperavi, Mtsvane, Tsitska, Tsolikouri nel mezzo migliaio di autoctoni di quel bislacco paese. Al di là dell'indagine delle singole etichette, cui dedicheremo ben altro spazio, da ricordare per i bianchi la capacità di annullare i consueti giustificativi delle lunghe e lunghissime macerazioni; la totale limpidezza ottenuta per sola caduta; la ricchezza espressiva pur in assenza - quasi - di polpa; la capacità si esprimere anche rustiche eleganze, fatto assai insolito per vini così artigianali. La secchezza fucilata che non diventa polverosa. Commozione e applauso finale per una enologia quasi antropologica. Un personale apprezzamento per i sommelier di enologica, autonomamente puntuali e invisibili in sala, seppur sempre presenti, come s'abbisogna. Precisi e decisi nel backstage, preziosi anche oltre il loro "commitment". Quando va detto, va detto.   Immagine: courtesy Elisa Mazzavillani

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