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Fabio D'Uffizi | Riflessi d'Erbaluce

pubblicata il 13.10.2011

Te ne stai là in alto, schiaffeggiato dal vento sulle coste del Castello di Masino, e pensi alla perfezione di una parola: anfiteatro. Le morene, spaventosamente dritte, cullano questa terra dai colori pastello brillanti che disegnano, con precisione, un palcoscenico ellittico e luminoso. In scena lei, l'Erbaluce, l'uva frutto delle lacrime incantate e disperate che son diventate tralci della ninfa Albaluce, splendente figlia del Sole e dell'Alba.Il terreno, va da sé, è morenico, ma chiaro, sassoso, di ciottoli arrotondati, che l'acqua scorreva tumultuosa sopra questa terra ed ancora oggi, con la Dora Baltea ed il laghi di Viverone e Candia, è presenza importante, che condiziona il clima, lo smussa, lo ingentilisce. Si perché qua, nel Canavese, tra le rughe di Caluso, Mazzè, Agliè, Parella, fino a Piverone, il sole e la luce arrivano tanto e scaldano bene, l'esposizione è pressoché perfetta e le morene difendono le viti dai venti gelidi e alpini. E allora luce, erba e luce, in queste vigne vecchie che per difesa, resa e tradizione sono tòpie, pergole ed attraversare i filari distanti e intrecciati tra loro è come infilarsi in una stanza barocca, intarsiata di bronzo e damascata di verde, impreziosita dall'uva rustia.Vigne, curve e tanti assaggi, così sono trascorsi i due giorni voluti dal Consorzio e dedicati a chi il vino lo racconta sulla Rete, perché l'Erbaluce è un vino che merita, come altri, attenzione e cura. La pianta frutta bene, il terreno conferisce freschezza e mineralità, l'uva ha caratteristiche acide di grande importanza. E poi l'uomo che, come sempre, il vino lo produce e che, in questa giovane DOCG da più di un milione di bottiglie all'anno, lo vinifica in tre tipologie: fermo, spumante metodo classico e passito.Fondamentale, poi, l'incontro con i produttori (sedici) e i loro vini (molto più di sedici).Tra i tanti racconto di Orsolani e della sua Cuvée Gran Riserva (presente anche un insospettabile millesimo '99) che segna il riferimento tra le bolle d'Erbaluce per profondità ed ampiezza del bicchiere, ed anche per un'eleganza che avvicina certi bianchi di bianco d'oltralpe. Corretto e centrato nella sua interpretazione ferma è il La Rustìa, che incarna perfettamente le caratteristiche di grande mineralità e citricità del vitigno, accompagnate dai profumi officinali e verdissimi incorniciati da un bel frutto bianco e succoso. Incantevole poi il passito Sulè ('05 in particolare), dolce e carnoso, grasso e spinoso di acidità seducente color dell'ambra.Oppure racconto di Cieck e del suo Erbaluce Misobolo '09, dei suoi fiori colorati e della salvia spezzata, tutto poggiato su di una schiena dritta e lunga fatta di acidità fin quasi pungente. E poi il suo Alladium '04, un passito splendido di luce candita, di fichi e nocciole, di erbe odorose e balsamiche, complesso e bevibile. Buonissimo.Per rimanere sui passiti, il racconto si sposta su Ferrando, presente con una miniverticale prodigiosa ('97, '99, '05), del Vigneto Cariola, dove l'evoluzione di profumi, colori e complessità diventa un gioco scherzoso, dolce e profondamente tostato, a cui gli anni cambiano sempre il finale. Ecco le potenzialità del vitigno in termini di longevità ed evoluzione.Almeno una citazione merita il passito Morenico '03 della C.S. del Canavese per quella sua nota gessosa ma scura, quasi grafite, che tanto lo differenzia dagli altri pur non rendendolo equilibratissimo, oppure il Tenuta Roletto '01, dell'omonima cantina, vino passito che raggiunge un equilibrio austero tra bevibilità e longevità, quasi liquoroso.E poi arriva Camillo Favaro. I suoi sono Erbaluce di grande personalità, elettrici di ricchezza, estrazione, capacità evolutiva. Le Chiusure (in diversi momenti degustate le annate dal '10 al '06) è l'Erbaluce tradizionale, tutto acciaio e frutto, dove le erbe officinali si fondono nel lime, la nespola succosa e ancora poco dolce ti fa ingolosire, dove la bevibilità salmastra si fa preoccupante. E poi l'evoluzione, e che evoluzione, nello '06, ancora vivissimo, il lime diventa ananas matura, la camomilla si fa spezia, il sorso diventa pesca in polpa. Anche il 13 Mesi è un bel tipetto, con quel legno in fermentazione e affinamento che sposta l'equilibrio della bevuta, l'allunga in profumi di balsami secchi e di acacia. E poi quel passito, Sole d'inverno '05, totalmente vinificato e maturato in acciaio (almeno 48 mesi), dove concentrazione ed equilibrio acido/dolce quasi si soffocano in un abbraccio violento, che lascia l'idea di un calore sincero, di una frutta spremuta, di un tannino minerale e sfumato, di arance profumate alla mandorla. Un vino davvero del territorio, un vino che, almeno in parte, ripaga le legnose lacrime della dolce Albaluce.

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