Attualità

Itinerari | Genova, Il Mercato del Pesce

pubblicata il 29.01.2013

Qualcosa di più e qualcosa di meno di un mercato del pesce "pittoresco". Come la pescheria di Catania, per dire: sanguigno e sanguinoso, alieno al forestiero. Colorato e vociante.Invece il mercato del pesce di Genova non ha nulla di pittoresco, incastrato tra l’orrida – ma insostituibile – sopraelevata e il quartiere del porto antico. Un edifizio dalle desinenze littorie, che sa ricavare un suo fascino da una bruttezza che travalica l’impatto estetico. Schiacciato a terra dal viadotto, a corto di manutenzione, asfissiato dal traffico, il mercato del pesce è un ventricolo pulsante della città: per comprenderlo va penetrato.L’ingresso è riservato agli operatori fino alle otto di mattina: prima si svolgono le aste, che hanno liturgie precluse a noi comuni mortali. Il pesce è già stoccato in cassette, ad eccezione degli esemplari di grossa taglia che sono venduti a pezzo. I sensali arrampicati su alti stalli guardano tutto da lassù, parlano poco ma vedono tutto. Impossibile comprendere la loro attività, racchiusa in codice di comunicazione privato. Tutti urlano: in genovese. Gli stanzoni fanno eco, le voci s’inquartano e si sovrappongono. Acqua da per tutto, che si usa lavare a getto. Ghiaccio che si scioglie, discussioni scherzi offerte rifiuti.Il profumo del freddo copre l’odore del pesce. Stivaloni di gomma sciaguattano contro grembiuli di gomma, plastica scricchiola, polisterolo geme, carta che gorgoglia. E grida. Personaggi dall’aria sacerdotale s’aggirano con un foglio in mano, sapendo cosa fare. Il forestiero si perde: l’indigeno guarda le casse, indica, chiede. A volte compra.Fa sorridere il cartello sul portone: vietato l’ingresso agli animali, che vien facile la battuta che solo animali si vendono laddentro, seppur con pinne e squame.Pinne e squame, carapace ed esoscheletro, e chele e occhi a palla.Per una mattina svegliarsi presto, da forestiero, a farsi tagliare la faccia dal vento freddo dell’inverno, sulla spianata del porto. Poi verranno le focacce, i carrugi e la panera, ma questa è un’altra storia.

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