Girolomoni ci aiuta a capire come va il biologico oggi in Italia e cosa ci dobbiamo aspettare
Intervista al presidente dell’omonima cooperativa marchigiana, che guarda con fiducia ai prossimi anni: “I prezzi scenderanno, ma non facendoli pagare agli agricoltori o all’ambiente”
Verso la fine della nostra chiacchierata, Giovanni Battista Girolomoni ci ha detto sorridendo che “io sono un bambino bio”, anche se è da un po’ che non è più un bambino. A 40 anni appena compiuti, Girolomoni è presidente della cooperativa agricola che il padre fondò nel 1971 e che oggi è conosciuta nel mondo soprattutto per la produzione di pasta.
“Sono un bambino bio” è il suo modo, decisamente informale e fuori dagli schemi, per dire che sin da piccolo ha vissuto circondato dai princìpi dell’agricoltura biologica, di cui il padre è stato pioniere. In questo articolo abbiamo raccontato la storia di questa impresa di famiglia, Girolomoni, la collina marchigiana dove la pasta è biologica.
Oggi la cooperativa Girolomoni, che ha sede a Isola del Piano (in provincia di Pesaro e Urbino), ha 30 soci e 70 collaboratori, conta su una filiera produttiva composta da 400 aziende agricole e produce 9mila tonnellate di pasta all’anno. L’azienda ha chiuso il 2022 con ricavi pari a 19 milioni di euro, ma con il suo presidente non abbiamo parlato di questo: abbiamo parlato del biologico, di come questi prodotti sono accolti in Italia, di prezzi, di come va il mercato e di dove andrà.
Il bio in Italia: siamo grandi esportatori
Secondo Girolomoni, la forza del biologico è anche normativa, perché è regolato a livello sovranazionale come praticamente niente altro in campo alimentare: “Da un paio d’anni c’è anche una legge italiana - ci ha ricordato - ma soprattutto c’è una normativa dell’Unione europea (questa, ndr) che stabilisce che cosa si può fare e non fare e che cosa si può definire agricoltura biologica” e “questa è una differenza importante con gli altri standard produttivi e disciplinari, che sono più o meno tutti legati a iniziative private o statali, e dà al bio una forza che nessun altro ha”.
Questo dovrebbe offrire a noi consumatori maggiori tutele quando acquistiamo prodotti caratterizzati dal logo della fogliolina in campo verde, che appunto garantisce che siano stati “certificati come biologici da un organismo o un'agenzia di controllo autorizzato” e che quindi “hanno soddisfatto condizioni rigorose per la produzione, il trattamento, il trasporto e l'immagazzinamento”. Questo logo, che è quello da cercare quando si cerca un prodotto bio (con altre attenzioni che vedremo più sotto), può essere utilizzato solo sui prodotti che “contengono almeno il 95% di ingredienti biologici e che rispettano condizioni rigorose per il restante 5%”.
I consumatori dovrebbero essere più tutelati e infatti rispondono positivamente, ormai da anni: “Gli ultimi dati ci dicono che in Italia il bio cresce sia a livello di superficie coltivata e di operatori attivi sia a livello di vendite sul mercato interno (+7%) e sul mercato export (+8%)”, ci ha spiegato Girolomoni. Che ha però anche ammesso che accanto a queste luci c’è qualche ombra: “I numeri non sono più quelli degli anni scorsi, quando la crescita era spesso in doppia cifra anno su anno, e la crescita è in valore ma non in volume”. Che significa? Significa che le aziende hanno prodotto di meno ma incassato di più, perché i prezzi sono saliti, anche se “meno rispetto ad altre categorie di prodotto”.
Sintetizzando, Girolomoni ci ha detto che è vero che “in Italia c’è forse meno sensibilità su questo tema” e che siamo un po’ divisi in due: meno grandi a livello della domanda di biologico (ma comunque fra i primi 20 mercati al mondo), ma enormi a livello di offerta, secondi solo agli Stati Uniti come esportatori e con una superficie coltivata bio più alta della media Ue (18-19% contro il 14-15%).
Da questo punto di vista, la cooperativa marchigiana sta assolutamente nel trend: “Siamo in crescita costante e graduale da tempo, ma siamo andati con calma, al nostro passo, al passo giusto per tenere con noi gli agricoltori, programmando con loro i livelli di produzione anno per anno”, ci ha raccontato Girolomoni. Confermandoci che il 75-80% del fatturato della sua azienda arriva dall’estero, e che i mercati principali per la sua pasta sono Francia, Germania e Usa.
La confusione fra sostenibile e bio
Anche se il settore cresce meno rapidamente che in passato, secondo Girolomoni può crescere ancora e decisamente non è arrivato al suo massimo di penetrazione del mercato: “Saliremo ancora, se non altro perché l’Unione europea ha messo fra gli obiettivi per il futuro quello di arrivare al 25% di superficie agricola coltivata in modo bio”, ci ha ricordato.
A parer suo, si cresce (più) piano soprattutto per due motivi: perché i prezzi pesano tanto e le persone si spostano altrove e perché quelle stesse persone sono confuse dai tanti input che ricevono. Soprattutto dall’uso continuato e onnipresente del concetto di sostenibilità: “Da una recente indagine di Nomisma è emerso che circa il 40% dei consumatori è confuso dalle cosiddette green claim presenti in etichetta”, cioè da dichiarazioni che richiamano al (presunto) rispetto dell’ambiente, al fatto che un prodotto è di origine locale, è a residuo zero, ha il packaging riciclabile e così via. Il timore di Girolomoni è che spesso “si tratti solo di stratagemmi commerciali”, ma anche se non lo fossero c’è una cosa importante da capire: “Se un cibo è sostenibile non è detto che sia bio, mentre se è bio è sicuramente sostenibile”. È normale che lui lo dica, visto il lavoro che fa, ma decisamente il ragionamento ha un senso: il biologico ha un disciplinare e un insieme di regole da rispettare, mentre il concetto di sostenibilità è purtroppo ancora fumoso e difficilmente dimostrabile nei fatti.
Etichette e prezzi: cosa guardare e quanto spendere
La cooperativa Girolomoni sta cercando di risolvere proprio questo problema: l’azienda è fra le prime in Italia ad aver aderito al Planet Score francese, un sistema di etichettatura ambientale che dovrebbe dare a chi compra una chiara indicazione visiva di quanto davvero sia sostenibile un prodotto che dice di essere sostenibile.
Senza scendere in eccessivi dettagli, il Planet Score prende in considerazione l’intero ciclo di vita dell’alimento e poi lo valuta sulla base di 3 parametri: l’uso di pesticidi, il rispetto della biodiversità e l’impatto climatico, espressi su una scala colorata dal verde al rosso, dalla lettera A alla E. Questi valori vengono poi riportati in etichetta, un po’ come si fa con gli elettrodomestici.
Questa è una cosa da cercare sulle confezioni dei prodotti bio, almeno su quelli che hanno scelto di sottoporsi al giudizio del Planet Score (che a Girolomoni ha dato tre A), ma non è l’unica: “Pochi sanno che sotto alla fogliolina verde che identifica il prodotto bio dev’esserci anche l’indicazione di origine della materia prima”, cioè una scritta come Origine Italia, Agricoltura Italia o Agricoltura Ue, che dovrebbe aiutare il consumatore a capire meglio da dove arriva quello che sta comprando. Girolomoni ci ha anticipato che “le aziende del settore del nostro Paese stanno ragionando sulla possibilità di aggiungere un ulteriore logo che ribadisca con maggiore forza se la provenienza è italiana”, magari un bollino tricolore o altro del genere.
Al di là di questo, c’è un ulteriore dettaglio cui le persone stanno attente e di cui non si può non parlare quando si parla di biologico: i prezzi, ovviamente. Secondo Girolomoni, “il problema del costo c’è ma non è l’unico problema e non è l’unica variabile, anche se negli anni ha provocato una sorta di pregiudizio: penso che il bio costi di più, quindi lo scaffale, il corridoio, il reparto del bio nemmeno lo guardo e nemmeno vado a vedere. In realtà non sempre è così”. E anzi le aziende stanno attente a trovare il corretto price point in cui posizionare i loro prodotti, che è una cosa tutt’altro che facile: “Non va bene se costa troppo, ma nemmeno va bene se costa troppo poco”.
Le cifre sono abbastanza variabili, come sempre nel settore alimentare, perché dipendono anche dal momento storico e da eventuali sconti e promozioni, ma per avere un riferimento, prendendo a esempio una confezione di pasta da 500 grammi, si parla di 80/90 centesimi al discount, di 1,20/1,40 euro nei punti vendita della grande distribuzione e di 1,60/1,65 per quella bio di Girolomoni. Come si vede, le differenze ci sono ma sono forse meno marcate di quello che si potrebbe pensare.
Il futuro e il nuovo seme Inizio
Al di là delle cifre, secondo Girolomoni un modo per avvicinare ancora più persone al biologico è quello di fare loro capire che da questo tipo di agricoltura non derivano solo prodotti di qualità ma anche maggiore cura per il territorio. L’importante, ci ha detto chiaramente, è “farla finita con la retorica: è vero che ognuno di noi può fare la sua parte, come ci sentiamo ripetere spesso, ma servono politiche di più ampio respiro, serve un approccio sovranazionale, serve aiutare le persone a capire che uno stile di vita diverso e un’alimentazione diversa sono possibili e benefiche sia per i singoli sia per la comunità”. Serve che “si smetta di continuare a spostare il carico e la responsabilità di cambiare sul consumatore finale, che va aiutato concretamente”. A comprendere, soprattutto.
Per provare a farlo, Girolomoni (la cooperativa) ha preso negli ultimi tempi due decisioni che Girolomoni (il presidente) ritiene “determinanti”: entrare nella WTFO e dare vita, insieme con NaturaSì, alla Fondazione Seminare Futuro.
La sigla sta per World Fair Trade Organization e identifica l’Organizzazione mondiale per il Commercio equo e solidale: “Condividiamo i loro princìpi, che non valgono solo per caffè e cacao ma che c’è bisogno di applicare anche in Italia - ci ha spiegato Girolomoni - Anche noi sosteniamo il concetto di giusto prezzo, di tutela della filiera, di aiuto ai produttori svantaggiati e di nessuno sfruttamento dei lavoratori, e racconteremo tutte queste cose nelle nostre nuove etichette”. Così che i consumatori capiscano, appunto.
Se possibile, quello che fa la Fondazione Seminare Futuro è ancora più interessante e potrebbe risolvere in un colpo solo i due problemi fondamentali del biologico, cioè la scarsa resa delle coltivazioni e la conseguente crescita dei costi (che si riflettono poi sul prezzo al consumatore): “Usando solo metodi tradizionali e in modo naturale, stiamo cercando di correggere questi errori, incrociando i semi per arrivare al meglio possibile nell’equilibrio fra quantità e qualità”. L’idea è di arrivare al seme perfetto, che renda il massimo e costi il giusto, e forse quelli di Girolomoni l’hanno trovato: “Siamo in fase avanzata di test con un seme che abbiamo chiamato Inizio - ci ha raccontato il presidente con comprensibile orgoglio - che già dalla seconda metà del 2024 dovrebbe entrare nel ciclo produttivo della nostra pasta”.
Quando ci ha detto così, e quindi non abbiamo potuto non chiedergli se allora e finalmente anche la pasta bio inizierà a costare meno, Girolomoni non si è scomposto. E ci ha detto che “la nostra idea è sempre stata quella di riconoscere il giusto agli agricoltori e di avere un prezzo che sia il più accessibile possibile per i consumatori”, e che quindi la risposta alla domanda è sì: “Arriveremo a un abbassamento dei prezzi, ma non possiamo arrivarci facendolo pagare all’ambiente o a chi coltiva la terra”.
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