I segreti dell'etichetta: quante cose ci dice sulla scadenza del cibo e come imparare a leggerla
Che cos’è il TMC e come distinguere i cibi ancora buoni da quelli che non vanno più mangiati: una guida breve per capire le differenze, e qualche esempio per orientarsi
“Da consumare entro” o “Da consumarsi preferibilmente entro”? Che differenza c’è fra queste due diciture, che troviamo sulle etichette dei prodotti alimentari venduti in Italia e sembrano uguali anche se non sono uguali? C’è tutta la differenza del mondo, che può essere significativa non solo dal punto di vista della salute, ma pure della sostenibilità e della cura per l’ambiente. E anche del nostro portafoglio, a ben vedere.
La prima formula si trova (per fare qualche esempio), sulle confezioni di salmone affumicato, sulle minestre pronte, sulle spremute in bric: dopo la data indicata, il prodotto non va consumato, e se è avanzato va buttato via. La seconda, impressa su alcuni yogurt, sui biscotti, sulle merendine, sulle marmellate e le bevande vegetali, concede qualche margine di manovra in più: dopo la data indicata, il prodotto non rappresenta un rischio per la salute, ma potrebbe essere meno gradevole al palato.
Come capire quello che ci dice l’etichetta
Dell’argomento si è tornato a parlare di recente, dopo che quelli di Too Good To Go, l’app contro gli sprechi alimentari (su Cucchiaio ne scrivemmo qui), hanno annunciato l’ampliamento della loro iniziativa Etichetta Consapevole. In che cosa consiste? Nell’aggiungere anche la dicitura “Spesso buono oltre” sui prodotti caratterizzati dalla scritta “Da consumare preferibilmente entro”, appunto per fare capire al consumatore che quel cibo è “spesso buono oltre” la data indicata (da cui la scritta). L’anno scorso, il programma ha coinvolto 10 milioni di prodotti presenti sugli scaffali dei supermercati e quest’anno l’azienda punta a toccare quota 50 milioni, grazie agli accordi con partner come Granarolo, NaturaSì, Nestlé, Raspini Salumi, Eridania, Mielizia, Vallé e altri.
Secondo una ricerca pubblicata nel 2020 da Altroconsumo, il 63% degli italiani fraintende la differenza tra le due diciture e magari butta nella spazzatura cibo che si potrebbe ancora consumare. Questa confusione ha un impatto non solo sulle nostre tasche (perché gettiamo qualcosa che potremmo mangiare e quindi dobbiamo ricomprarlo), ma pure sull’ambiente: a livello europeo, il 10% degli sprechi alimentari sarebbe proprio attribuibile a una scorretta interpretazione delle diciture presenti in etichetta.
Il punto importante da capire è quello accennato all’inizio: quella indicata dalla scritta “Da consumare entro” è la data di scadenza; quello che segue la scritta “Da consumarsi preferibilmente entro” è il cosiddetto Termine Minimo di Conservazione (in sigla, TMC). In sintesi: se un prodotto ha superato la data di scadenza, può costituire un rischio per la nostra salute; invece, il TMC rappresenta la stima del produttore sul periodo di migliore qualità di quell’alimento, e consumarlo dopo non significa che costituirà un rischio per la salute, ma che potrebbe avere perso alcune proprietà organolettiche a livello di aroma, fragranza, sapore e così via.
Insomma: l’invito è a usare i propri sensi, a vedere che aspetto ha, ad annusarlo per percepirne l’odore, ad assaggiarlo per capirne il gusto. Stando appunto tranquilli sul fatto che la data di TMC rappresenta un termine di qualità e non di salubrità. Da Too Good To Go hanno addirittura preparato una breve lista di di quali cibi sono consumabili oltre, e per quanto: - il pane confezionato può essere mangiato anche 7 giorni oltre il TMC; - i prodotti confezionati a base di carne (come affettati, salumeria cruda, cotta e stagionata) anche 30 giorni dopo; - dolci confezionati, confetture e conserve, farine e cereali, pasta, riso, cous-cous e snack secchi dolci e salati anche sino a 60 giorni dopo; - il latte UHT a lunga conservazione, le spezie e le erbe aromatiche, maionese, ketchup, senape e succhi di frutta anche 180 giorni dopo; - caffè macinato, tè, infusi, olio, acqua in bottiglia e tonno sottolio anche sino a 360 giorni dopo.
Che c’entra l’etichetta con la tutela dell’ambiente
Abbiamo scritto che il buon uso di queste informazioni può essere significativo anche dal punto di vista della sostenibilità e della cura per l’ambiente, perché lo spreco di cibo ha un impatto importante sulla natura: secondo stime dell’UE e della FAO, sono 9 milioni le tonnellate di cibo sprecate ogni anno in Europa proprio a causa della scorretta interpretazione delle diciture, pari a oltre 22 milioni di tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera.
Quello dello spreco di cibo è un tema così centrale che su Cucchiaio ne abbiamo scritto spesso negli ultimi due anni e pure gli abbiamo dedicato un libro (con 100 ricette per dare nuova vita agli avanzi), e anche sembra essere molto caro alle persone: secondo un sondaggio condotto da Epinion in Italia e in Europa, l’84% degli intervistati pensa che “lo spreco alimentare sia un grosso problema” e il 74% vorrebbe “fare di più per limitare lo spreco tra le mura domestiche” e anche il 73%, dopo avere saputo dell’iniziativa Etichetta Consapevole, si è detto pronto a “guardare, annusare, assaggiare il prodotto prima di gettarlo”.
L’etichetta è talmente importante che nelle nostre guide all’acquisto (qui ci sono le ultime 5) la citiamo spesso come fonte di informazioni preziose su quello che si sta per acquistare, che la Danimarca ha stanziato 1,2 milioni di euro per svilupparne una versione che certifichi la sostenibilità degli alimenti e che Unione europea e Italia stanno ancora litigando su quella “a semaforo”, che potrebbe diventare obbligatoria a fine anno. Se arriverà o no, ancora non lo sappiamo: quel che sappiamo è che dobbiamo imparare a leggerla, e possiamo allenarci iniziando da data di scadenza e TMC.
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