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Identità Golose 2013 - La possibilità di un'Isola

pubblicata il 13.02.2013

Mentre il 26enne Oliver Piras sta scaldando e modellando una sfera misteriosa e trasparente composta da isomalto, quasi fosse un artigiano del vetro, per la sua Pardula decisamente non tradizionale, lo sguardo del moderatore, il decano dei giornalisti enogastronomici sardi Gilberto Arru, si fa perplesso, incuriosito e infine severo. "Mah .. " borbotta "diciamo che lo stile della tua cucina è artistico, no? Come lo definiresti il tuo stile?". Il giovane chef, intento a soffiare sopra la sfera di zucchero trasparente, ribatte calmo "mah .. io non ho uno stile, quando posso, faccio quello che mi piace". I miei occhi strabuzzano, cercando nella sala qualche altro sguardo di approvazione e profonda commozione che, purtroppo, non incontro. Perché? Perché proprio nella sessione di chiusura di una notevole giornata dedicata agli chef sardi e ai prodotti del territorio, è sfrecciata la vera frase identitaria, profondamente sarda, nel bene e nel male: faccio quello che mi piace. Urrà.
Identità Golose è una bella giostra: idee, persone, parole, vanità, luci e ribalte. Tutto giusto, tutto corretto, tutto (quasi) sempre bello. Ma la grandezza di questo piccolo gigante sono le sessioni, le occasioni di approfondimento, i temi. Identità Sarde è stata davvero un'idea grandiosa, troppo poco conosciuta la cucina, le tecniche, i prodotti dell'Isola: "andiamo oltre il Carasau …" è stato il lancio di Paolo Marchi.
Sergio Mei, chef sardo che da lustri tiene le redini delle cucine del Four Seasons milanese, mi ha sorpreso e mi è piaciuto. Ermetico e poco propenso allo show come al solito, ha proposto prodotti perduti, o quasi. Poche parole sull'Isola, molte sulle ragioni del perché una pasta come il Filindeu, non possa sparire, debba resistere. Una pasta barbaricina, di semola di grano duro, tirata in fili sottilissimi a mano, dopo una lavorazione lunghissima e lasciata essiccare al sole e al vento su una canestra intrecciata. Mei la profuma in un doppio brodetto di astice e crescione, sublime. Poi una fregula dal calibro maggiorato, con le piccole arselle fresche, la bottarga di muggine e i carciofi sardi, spinosi e saporitissimi.
Stefano Deidda, chef di Dal Corsaro a Cagliari, comincia un piccolo viaggio nelle contaminazioni e nell'esperienza, per poi atterrare sul maialino, che più sardo non si può. Laccatura al miele di cardo e senape sono le digressioni, la tecnica il collante, il territorio (oltre al maiale, il croccante di prosciutto di Villagrande), comunque, la base.
Poi arriva Roberto Petza, S'Apposentu e pare che i faretti facciano più luce. Gli occhi di Giuseppe Carrus, secondo moderatore di giornata, brillano mentre Petza racconta la sua "Pecora che va al mare (e incontra i calamari)". Carrus ha ragione, piatto commovente: un taglio povero della pecora (carne che Petza esalta) viene da prima cotto sottovuoto a basse temperature e poi finito in forno dopo essere stato spennellato per bene con un'emulsione omogenea di strutto e miele di cardo (quello di Luigi Manias, presente sul palco). I calamari marinano veloci in un frullato di erbe spontanee e poi saltano nella padella con la stessa emulsione di strutto e miele. Il piatto si compone, i carciofi appena saltati a rifinire, la pecora abbraccia i calamari. Bravo, buono, bis. Anzi, se possibile, tris!
La sessione mattutina dedicata al presente culinario isolano, si conclude con lo chef non sardo più sardo che c'è: Elio Sironi e la sua interpretazione della Suppa Cuata, della zuppa gallurese. Semplice, senza fronzoli, Sironi spiega meglio di altri, con questo piatto, il concetto di materia prima e di rispetto (main theme di Identità Golose 2013). "Grande pane, grande pecorino, grande brodo" dice lo chef, grande idea quella di abbinare la zuppa con una purea di favette, bottarga e pecorino, dico io. Grande mano e idee chiare.
Il pomeriggio è una illuminazione. Meno persone nella sala, più futuro sul palco.
Il duo Manuele Senis e Mario Tirotto equivale ad una fucilata d'Isola nascosta, quella che in continente si conosce ancora troppo poco. Manuele è allievo di Petza, giovanissimo, idee folgoranti: ha sposato un progetto complicato, un ittiturismo creativo nella splendida Laguna di Nora. Da qui parte e qui rimane: carpaccio di muggine marinato nelle erbe grasse e salate dello stagno, accompagnato da una piccola vellutata di salicornia e finocchieto di mare in insalata. Manuele racconta con tanta foga, nelle parole e forse anche nel piatto, un concetto semplice come la stagionalità con una passione ed una convinzione che ti fanno capire, da subito, quanto quest'idea sia in realtà complessa da realizzare e diffondere. Nei suoi occhi c'è il futuro, la convinzione delle proprie idee. A seguire un perfetto Mario Tirotto, tante esperienze in giro per l'Europa e ora al Lisboa di Rossella Mura a Cagliari, che ha continuato il percorso avviato da Manuele con il suo polpo di laguna, profumato di terra e di mare, con le radici di liquirizia e di erbe lacustri disidratate, quasi fosse sabbia. Tanta tecnica, tante idee, tanta voglia di raccontare qualcosa di sardo nel piatto di Mario. Bravo, anzi bravissimi.
Il penultimo intervento è di Roberto Serra de Su Carduleu di Abbasanta che, dopo anni passati a sudare sopra fornelli importanti, esordisce con un "ho capito che la mia cucina può essere una, una soltanto: sarda". Scatta l'applauso, inaspettato. Serra è un fiume in piena, parla di territorio, di scelte, di prodotti: dai carciofi al pistoccu, dai coltelli di Santu Lussurgiu alle mandorle del Coros. Porta con se altre due sardità e rarità eccezionali: sa Pompia (un cedro mostruoso, amaro, profumatissimo, che si trova solo nella parte orientale dell'Isola) e una sacca di caglio di capretto, il formaggio dei formaggi. Il suo piatto, poi, è Sardegna: il lombetto di pecora marinato nelle erbe aromatiche mediterranee, viene velocemente arrostito sulla padella e finito al forno sotto foglie di mirto, per essere impiattato poi con le cicoriette selvatiche con mandorle e la saba di fichi d'India. Un sommario, un compendio, una sintesi di Sardegna.
La bocca si addolcisce per il finale, con la pardula modernista del già citato Oliver Piras, che racchiude in una sfera vitrea e dolcissima, la ricotta di pecora sifonata, l'arancia e lo splendido Zafferano di San Gavino Monreale.
Una giornata affascinante, una giornata che mi ha dato la certezza che esiste, ancora, la possibilità di un'Isola.

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