Attualità

Identità Golose 2014 | Conclusioni

pubblicata il 12.02.2014

Acqua, sala, natura, pizza, pane, orti, grandi chef in grandi sale, grandi chef in grandi e piccoli stand. Nel 2014 Identità Golose, arrivata alla sua decima edizione, è rutilante, celebrativa, chiassosa, affollata: anche se l’intenzione dichiarata è quella di non voler festeggiare questo anniversario, il clima della manifestazione richiama le candeline. Attesa, code, applausi, baci e abbracci: dopo dieci anni e Facebook, i volti sono diventati familiari. In più, l’understatement è raro come l’assenza di fila allo stand Lavazza, e si squittisce con urletti e bacetti: sì, la cucina è diventata moda, e chi segue quella moda è qui tra gli stand a stalkerare i suoi idoli. Non più solo addetti al settore, quindi.

Identità Golose ha pasciuto giovani chef e pr,  Identità Golose fa da levatrice a chi cerca un accesso a un certo tipo di cucina: quella della guide, delle telecamere, dei social media in cui si conversa di cucina e di ristoranti, e dell’apprendimento che parte da un microfono e  un palco.
Sì, perché anche oggi Identità continua a insegnare, se ci sono chef come Enrico Crippa che danno un effettivo valore formativo all’intervento e lavorano seriamente all’interpretazione del tema dell’edizione, che in questo caso è Una golosa intelligenza. Non si sfugge: dopo dieci anni, soprattutto se sei un cuoco riconosciuto, non puoi presentarti sul palco con un intervento impostore.Occorre fare effettivamente fatto uno sforzo perché ciò che viene prodotto sul palco sia intelleggibile a chi quel percorso non lo ha ancora fatto: come ha detto Niko Romito, "Un convegno è produrre contenuti che giustifichino il mio intervento”.Fatelo, tutti. Lasciando perdere quelli che sono venuti solo per stalkerare.Al decimo anno di Identità, si è tornati a difendere l’alta ristorazione, quella che all’inizio del congresso ha contribuito alla sua nascita e che ora è matura, orgogliosa, e non si deve più giustificare: senza l’alta ristorazione non esisterebbero i gastrobistrot, la ricerca, la sperimentazione che non viene subito capita, l’innovazione con cui si salvaguarda un ingrediente e un territorio.Benissimo, ora mostratela sul palco, coerentemente con ricette in cui la tecnica è svelata o mediante contenuti, video e libri ugualmente complessi, curati, interessanti. No, il cuoco in Power Point non può entrare in Auditorium.
Al decimo anno gli stand sono tanti e animati, in un sottocongresso che sfama i visitatori e stimola per prodotti e collaborazioni commestibili con cuochi in gamba: qui Oldani con Riso di Pasta, lì Scabin con Felicetti, poi Bosco con Molino Quaglia, infine Nespor e Roncoroni con Prime Uve. Programmi fitti, appuntamenti ciclici per provare, ritardi endemici. Però, è il giusto spirito.
L’impressione è che questo sia l’anno o l’edizione limite di una manifestazione e di una categoria che senza contenuti veri non può più permettersi di andare avanti: qui il pubblico è diventato irragionevolmente esigente, e nello stesso tempo gli si è affiancato un'altra tipologia, generica e un po’ più di massa.Chiudersi o aprirsi? Lo sforzo che Identità ha fatto in questi anni è stato quello di voler comunicare la cucina dei grandi cuochi ai loro allievi e chi l’avrebbe comunicata: ora a quei contenuti si può accedere anche in altri modi, e bisogna farci i conti.Da una parte si chiedono contenuti twittabili , un autografo o un selfie, dall’altra un cassetto di tecniche, un linguaggio e dei contenuti (e delle facce) nuove: il tutto, da bilanciare con l’essere una fiera che deve rendere giustamente felici i propri sponsor.Il mio personale desiderio è semplice: più estero, più donne, meno ritardi.

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