Attualità

Il Sabato del Villaggio | All'improvviso rendersi conto dell'elisir di lunga vita.

pubblicata il 29.10.2011

C'è questa cosa dei giovani. Li hanno considerati dei rompicoglioni per ventisette generazioni, ed ora non ce n'è uno che non parli dei giovani. Generalmente, avendo oramai dimenticato da lungo tempo com'era essere giovani, a sproposito. A me l'abitudine di categorizzare genera diverse reazioni eczematose: che so, quando sento parlare delle "donne", con tutti quegli accenti sulla "o", con quella pronuncia come di una cosa che si deve fare per contratto, un po' controvoglia. Come se le donne, cioè le femmine di essere umano, non fossero la metà di noi più una. Allora "i giovani" sono quella categoria di casinisti ancora illuminati dal dono dell'incoscenza: partono in tromba e si vanno a far impallinare come palombe  a Curtatone; i giovani fanno il giro del mondo con un dollaro in tasca; i giovani spendono tutto quello che hanno e non hanno nemmeno per la testa la micragna del risparmio. I giovani si amano, e non raramente fanno dei figli. I giovani italiani non sono molto diversi da quelli spagnoli, o da quelli iraniani, per dire: sono solo molti meno. E si trovano ad essere infilati in una categoria oblunga che sembra non avere termine: vincono i premi "giovani" registi ultra quarantenni, si assumono con contratti interinali giovani di trentacinque; si definisce "giovane" un cuoco di trentasei, e "non più giovanissimo" uno di trentotto. Emmezzo. Sarà il mezzo ad averlo fregato. Torno ora da Sevilla, in mezzo ad un paese forse anche più tribolato del nostro: attorno vedi giovani che lavorano, che decidono, che si divertono. Sevilla sprizza di vita, urge forza, dispensa coraggio. Diciamo che serve parlare di giovani, tanto per dimenticare che li abbiamo usati come cemento per il nulla prossimo venturo.

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