Attualità

Il Sabato del Villaggio | Natura morta con retrogusto leggermente amaro

pubblicata il 05.02.2011

Dopo quarantamila anni di grigio, oggi le belle colline borzanitane sono pennellate dei colori gialli del sole piegato di febbraio. E' buffo, il sole d'inverno: sembra una lampadina indecisa. Si alza sopra l'orizzonte, ma solo un po', e appena arrivato a mezz'altezza torna a nascondersi di corsa. Al massimo riesce a stiracchiarti lunghe ombre azzurrine alle spalle, indolori. Così rasserenato penso a questo nostro paese, che sa essere il più bello con le più belle genti e che spesso riesce a rovinarsi per una complessa tendenza all'autolesionismo. Ma solo di superficie: come quelli che si fanno i taglietti sulla pelle, senza mai affondare più di tanto. Per far questo spero di non urtare la sensibilità dei più se per definire questa curiosa attitudine devo affidarmi ad un moderato turpiloquio: del resto pure il Villaggio, Paolo ha sdoganato la parola alla tìvi, quindi siamo salvi. Ecco, la tendenza tutta italiana a nascondere una piccola fregatura sotto coltri di tuttobenismo ha una definizione antropologica precisa: si chiama Tecnica dell'Inculatina. I filosofi di questa tecnica sono i gestori telefonici, che propongono sempre contratti strabilianti che nascondono per lo più una piccola coda di scorpione: ma una roba indolore, due euri, tre al mese, che li noti, te ne accorgi ma in fondo è più la fatica di discuterne che il gusto di ottenere soddisfazione. Pensavo proprio a questa tecnica invalsa in tutti i comparti dell'economia mentre l'amico telefonista mi raccontava un episodio. Mi dice, il ragazzone, che è stato alla Trattoria del Boccalone, in una certa zona d'Italia. All'arrivo viene ricevuto con il tappeto rosso, perchè oltre ad averli omaggiati della rarissima soppressata di Borgo San Fulmìnio, aveva da lor menato il direttore della Gazzetta Internazionale e il critico gastronomico del Corriere della Merla, entrambi di preclara fama, ottenendovi larghi e favillanti articoli. Mi racconta, l'amico, di un leggero pasto fatto di mezze porzioni e del loro costo alla carta: 8, 12 e 14. Somma trentaquattro. Tra una riverenza e un salamelecco l'amico mi dice, arriva un bicchiere di rosso del '99. Siccome l'amico di vino ne capisce come io ne capisco di birra, vado a vedere quanto quota in rete quel Rosso della Pifferaia Riserva Assoluta: meno di venti. Diciamo perciò che il bicchiere al ristorante possa pesare l'astronomica somma di 10 euri. Siamo a quarantaquattro. Alla fine dei baci-e-abbracci, l'amico porta la mano al portafoglio, aspettandosi la solita pantomima sul pago-non-pago: che lui come me è più felice di versare la giusta mercede, che almeno può dire quel che gli pare. L'Oste bonario allora gli fa Cià, dammi sessanta che va bene così. Dunque considerando  il coperto, l'acqua e l'aria, non ce la facciamo ad arrivare a cinquanta: ma passi. Ed ecco estrinsecarsi la Tecnica dell'Inculatina al suo massimo: dieci euri grassati con destrezza, che certamente non arricchiranno l'oste, certamente non impoveriranno l'amico possidente, ma certamente lasciano un retrogusto amaro sulle papille. Di questi episodi siamo testimonii quotidiani, e non che il campo della ristorazione sia meglio o peggio degli altri: ma è dove il dolore è più forte, perchè ti prende nel momento in cui abbassi la guardia. Un impegno concreto per il venti-undici: meno amiconi e più avversari, ma a volto scoperto. Immagine: Eternally Cool

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