Attualità

Il sergente peperone

pubblicata il 07.08.2013

Il peperone è giunto in tempi relativamente recenti sulle nostre tavole. Fa parte di quel pacchetto di verdure che sono arrivati in Europa grazie, o a causa, di Cristoforo Colombo e della sua scoperta del nuovo mondo. Ci pensarono poi gli spagnoli a commercializzarlo e diffonderlo da noi, anche se il commercio di peperoni non diede i frutti sperati, soprattutto quello delle varietà più piccanti. In Europa, ma anche in Africa e Asia, il peperone infatti trovò terreno fertile per la sua coltivazione e si acclimatò molto bene. Fu così che il peperoncino piccante di provenienza locale sostituì parte delle spezie nella dieta delle fasce di popolazione meno abbienti. Il danno fu quindi doppio, perché la coltivazione in loco bloccò non solo l'importazione di peperoni, ma anche il commercio di numerose altre spezie, prima utilizzate. La famiglia del Capsicum annuum, questo il nome scientifico di tutti i tipi di peperone che conosciamo, è quella delle Solanaceae. Fa quindi parte di quel gruppo di ortaggi mal tollerati da alcuni soggetti, che però rallegrano le nostre tavole estive di sapore e di colore. Il nome potrebbe derivare dal latino capsa, ossia scatola, a causa dalla particolare forma del frutto, oppure dal greco kapto, che significa mordere: qui l'attenzione si sposta alla possibile piccantezza del peperone, che morde letteralmente la lingua. Il frutto è tecnicamente una bacca carnosa che, a seconda delle varietà, può avere forma e dimensioni diverse. Sul mercato si trovano peperoni con gradazioni di colore che variano dal verde al giallo e al rosso. Si tratta di diversi stadi di maturazione, la cui preferenza trova riscontri in usanze locali. Se ne trovano anche a diverso grado di piccantezza: dai più dolci ai più piccanti. Tutta colpa della capsaicina, sostanza responsabile della piccantezza. Si tratta di un alcaloide che si trova principalmente nel tessuto placentale a cui sono attaccati i semi e non all'interno dei semi stessi, come siamo soliti pensare. È peraltro una molecola molto stabile, che non si degrada né tramite congelamento, né tramite cottura: tutta la piccantezza di un peperoncino crudo la troveremo anche nei nostri piatti serviti a tavola. La piccantezza si misura normalmente tramite i gradi Scoville, dal nome dello scienziato che per primo mise a punto una metodologia - peraltro piuttosto arbitraria - per definire quantitativamente la capacità di questo ortaggio di provocare quella sensazione di bruciore in bocca che tutti, prima o tardi, abbiamo provato. I peperoni dolci, quelli che utilizziamo prevalentemente in cucina senza temere danni, hanno un grado Scoville di piccantezza inferiore a 100. Tante sono le varietà conosciute e coltivate, così come tante sono le zone d'Italia che hanno eletto questa o quella varietà a bandiera locale dei prodotti gastronomici. Ce ne sono anche due che hanno ottenuto lo stato di prodotti tutelati: il Peperone di Pontecorvo D.O.P. nella provincia di Frosinone e il Peperone di Senise I.G.P. coltivato nelle zone di Potenza e Matera, con cui si fanno i famosi peperoni cruschi. Si consumano freschi, cotti o essiccati, in particolare le varietà piccanti. Dalla macinazione dei peperoni essiccati si ottiene anche la paprica, tipica spezia magiara. Dal punto di vista nutrizionale ci troviamo di fronte a un ortaggio molto ricco d'acqua, pari a oltre il 90% del peso, e quindi molto poco calorico. Indipendentemente dal colore che assume, è una verdura che contiene una buona quantità di vitamina C, mentre nel peperone rosso spicca il contenuto in provitamina A. Nel verde, invece, è più interessante il contenuto in vitamina B. Scarsissimi i lipidi, poco abbondanti le fibre, buono invece il contenuto in potassio, accompagnato da altri sali minerali quali fosforo, magnesio e calcio. Immagine: Fhito

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