Attualità

Itinerari | Maratea

pubblicata il 29.08.2013

Un luogo tìmido e screanzato nello stesso tempo: che richiede tempo e voglia per essere perlustrato, ma non riesce a nascondersi alla vista del viaggiatore. Strano.
La città delle 44 chiese, vien chiamata: e tante ne vedi attorno, e di simboli sacri ne son bizzeffe: a partire dal Redentore bianco e stagliato sul monte San Biangio. Impossibile non vederlo: troppo.
Maratea sdoppiata nei secoli da una storia arzigogolata quasi come i profili delle montagne che la circondano: e diversissima da tutto il resto della Basilicata di cui, curiosamente, fa parte, incastrata com'è tra i lembi della campania cilentana e della calabria citeriore. Oh, due dei tre accessi sono spettacolari: da Sapri una Haute Corniche che svetta in mezzo alla parete verticale, capofottendosi ad Acquafredda che guardi giù ed è una vertigine. Che scendi a tornanti e mozzafiati, fino alle propaggini di Fiumicello e del Porto. L'altro, da Lagonegro, dritto in mezzo all'Appennino che pare alpe, e curve che non si scherza.
Allora puoi guardare su, vedere la granella di nocciuole che si fa Paese: quello nuovo, quello basso, che fino al 1700 c'era un'altra Maratea, in cima a San Biagio. Dove ora c'è il Redentore, luogo di pellegrinaggi e di fotoricordo di coppiette in controluce.
Arrotolato sul fianco di montagne alte ben più di mille metri, sali in pochi chilometri dalle spiagge nere e ciottolute a coste impervie, petrose, sche sbucciano fuori dal verde dei boschi. Lecci e castagni, dunque. Dal mare al cielo in pochi metri: formidabile. E da per tutto il profumo dei fichi, e più difficile, del ficodindia.
Diversissima dal resto della Lucania anche per la storia economica relativamente agiata: interessante approdo per le sue rade calme e tranquille, grande raccoglitrice di dazi e gabelle. E i frutti si vedono nelle belle case, asciutte ma nobili; nei tratti distintivi delle architetture; in un senso del decoro misurato e schivo. Degli angoli bui e degli slarghi assolati. Una bellezza astuta e austera che si conserva anche nei mesi del turismo, quando le pietre del corso di popolano di abbronzature impettite e accenti forestieri.
E dire che Maratea non fu incline all'asservimento: inespugnabile il Castello nel Medioevo, invisibile dal mare per i Saraceni, soccombette solo al Bonaparte, quando uno dei suoi generali la graziò dopo la capitolazione, contentandosi di radere al suolo il forte.
Città di sole traverso e di penombre, di sfumature più che di contrasti, par quasi giacersi sulle coste di un lago lombardo più che nel mare di smeraldo del Sud. Ma di certo unica.

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