Attualità

Racconti | La vita è un panino al prosciutto

pubblicata il 28.07.2011

La diatriba sul Panino Giusto, l'ennesima incursione sul tema del rispetto eccetera, mi ha fatto tornare in mente un lacerto sepolto nel "disco duro". E' parte di un romanzo breve - o di un racconto lungo - che ho scritto vent'anni fa. Non c'era internet. [NdA: la foto non rappresenta nè un panino, nè un prosciutto, ma è la pizza-speck di Nicola Cavallaro] Esco per ultimo nella pausa, per cambiare. Sfilo la cravatta Prockownich gialla con piccole losanghe azzurre pe affrontare il caldo della strada ed esco, un’ ora d’ aria tanto per cambiare. Arrivo poco più in là, dove teminano i casermoni orribili della primissima periferia, appena sopra la circonvallazione interna, laddove prosperano le famiglie delle parrucchiere e dei rappresentanti di generi alimentari. Hanno comprato l’ appartamento dagli allevatori di maiali alla fine degli anni settanta, quando costoro acquisirono status acquistando la villetta a schiera con quattro bagni e tre televisori e doppio garage. Passo appena la porta vecchia della città e cammino attentissimo al selciato di vecchia data, questo almeno gli architetti comunali dell’ arredo urbano non l’ hanno ancora rovinato. Osservo le pietre levigate dal passaggio di miliardi di automobili, adesso poche per il caldo e la stagione. Osservo i palazzi patrizi della nostra città che fu cadetta nei secoli, ed abitata da torme di secondogeniti dei ducati e delle marche viciniori prima ancora che da folle di quadrupedi rosa. Osservo gli abitanti vaghi camminare con gli occhi puntati a terra, espressione assente di pensieri altrove e momenti altrove, che siamo qui per dovere e per missione. Osservo la porta della bottega di Viscardo che ha il pane montanaro e il prosciutto tagliato al coltello a partire dalla pera con fette lunghe lunghe zigrinate per il tremolio della mano antica che regge l’ arnese. Osservo il lardo contenere il rosso della carne stagionata finire tra i lembi di una tera - buonissima - spezzata con le mani. Osservo l’ incarto, nella cerata, e poi nella carta gialla, e poi nel sacchetto bianco, e poi piegare i lembi di nuovo e di nuovo, incassare e buongiorno dottore. Osservo me stesso di fianco alla fontana di acqua dell’ acquedotto come quando rarissimamente fuggivo dalle aule del Liceo, seduto sulla piccola panchina dipinta di verde. Osservo il mio tempo che passa, a morsi regolari e saporiti, stavolta mastico piano: Sparisce il pane e con lui il prosciutto indissolubile, diventa qualcosa d’ altro, diventa piacere per me che ne godo, e dolore per me che ne vedo la pristina fine. E’ così: la vita, sì, la vita è in un panino al prosciutto.

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