Rediclorfagesp.
L’unica cosa che mi è rimasta dell’odiato professore di biologia del secondo anno di liceo è l’insegnamento sull’utilizzo delle parole mnemoniche. In particolare questa si riferisce alla classificazione che fece Linneo nel 18° secolo degli esseri viventi. Si parte dal Regno, per poi scendere alla Divisione, poi Classe, Ordine, Famiglia, Genere, Specie. Fu lui a portare alla ribalta la nomenclatura binomiale, ancora oggi usata per definire le varie specie viventi che popolano il pianeta terra. Ed è a lui che si riferisce la lettera L. che innumerevoli volte troviamo alla fine dei nomi scientifici.
Riprendendo in esame quanto detto nella scorsa puntata, abbiamo visto che il ciliegio dolce altri non è che il Prunus avium. E qui iniziano le complicazioni. Perché in agricoltura esistono anche le cultivar. La parola cultivar deriva dall’unione di due parole anglosassoni: cultivated e variety. Sono quindi piante della stessa specie, che però si distinguono le une dalle altre per caratteri morfologici, fisiologici, eccetera eccetera. Per essere riconosciute legalmente le cultivar vanno iscritte al Registro Nazionale delle Varietà, con un iter che dura attorno ai due anni.
Anche il ciliegio non fa eccezione, e prevede tutta una serie di cultivar. La prima suddivisione importante la possiamo fare fra cultivar autofertili e quelle autosterili. Mi spiego: ci sono alcune cultivar che non riescono ad impollinarsi da sole, ma hanno bisogno della vicinanza di altre cultivar. Le autofertili, per esclusione, sono quelle che invece sono in grado di impollinarsi da sole - e che noia. Un’altra suddivisione invece fa riferimento al periodo di maturazione: ci sono cultivar precoci, medio precoci, intermedie, medio tardive, tardive.
Quando andiamo quindi a comprare la Ciliegia di Marostica, o quella di Vignola, giusto per citare le due zone più vicine a casa mia, in realtà, a seconda del periodo dell’anno, andiamo a comprare ogni volta ciliegie diverse. Vediamo rapidamente le varietà più importanti e diffuse, sperando di non dimenticare nulla.
Le precoci sono quelle che mi piacciono meno di tutte, normalmente sono infatti di consistenza molto molle e con caratteristiche organolettiche, a mio parere, meno piacevoli. Fanno parte di questo gruppo le francesi Bigarreau Burlat e Bigarreau Moreau. Sono le primizie, e proprio per questo sono molto costose.
Fra le medio precoci il riferimento resta la Giorgia, varietà coltivata anche per l’impollinazione della diffusissima Ferrovia, assieme all’amica Adriana. Fra le due è più buona e gustosa la Giorgia, ma soffre problemi di pezzatura in caso di carico eccessivo sulle piante. L’Adriana, pur meno buona, resiste molto bene allo spacco, uno dei grossi problemi delle ciliegie, che spesso fa loro prendere la via delle marmellate.
Passando alle intermedie non possiamo non parlare della canadese Van: buona, gustosa, dissetante, ma piccolina, dal peduncolo corto e, di nuovo, sensibile allo spacco.
Nelle medio tardive troviamo la Ferrovia e la Lapins. Sono probabilmente le più coltivate sul territorio italiano, visto anche il loro apprezzamento sui mercati in genere. Sono però di difficile gestione agronomica: la Lapins ha bisogno di potature molto severe, la Ferrovia di idonei impollinatori nelle vicinanze per ottenere una buona produzione.
Terminiamo con quelle tardive, il cui punto di riferimento è l’autofertile canadese Sweetheart Sumtare. Produce frutti di buone dimensioni e ottima qualità, ma è molto sensibile alla moniliosi e allo spacco.
Indimenticabili poi le varietà locali, che purtroppo negli ultimi anni stanno lasciando il campo a nuove varietà più facilmente gestibili dal punto di vista agronomico, più produttive e più resistenti: se andiamo a Vignola troviamo dunque il Durone nero, a Verona la Mora di Verona e la Mora dalla punta, la Del Monte e Della Recca in Campania. Produzioni non sempre costanti e pezzature inferiori a quello che richiede il mercato le stanno lentamente ma inesorabilmente penalizzando. Ma è il progresso, bellezza.
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