Attualità

L'Europa alle prese con la pesca intensiva

pubblicata il 01.03.2013

Il nostro mare si sta impoverendo. La pesca eccessiva sta infatti impedendo una normale riproduzione delle specie ittiche presenti, con conseguente riduzione delle quantità, aumento delle specie a rischio estinzione e riduzione della biodiversità. Da molto tempo, ad esempio, è attiva una campagna di sensibilizzazione sul tonno rosso. In questo caso molti sono stati i cuochi e i ristoranti che hanno aderito, eliminando i piatti a base di questo pesce dal menu. Ma non sono solo le specie pregiate a rischio, perché l'allarme è stato lanciato anche per il ben più povero, seppur buonissimo, sgombro. Per questo l'Unione Europea sta cercando di mettere una toppa a questa situazione, ripristinando il naturale ciclo biologico dei pesci per ristabilire un livello di sostenibilità degli stock ittici. L'idea è quella di passare da un concetto di miniera da cui poter prelevare il pesce, a un concetto quasi agricolo di campo da coltivare e da cui raccogliere solo il prodotto maturo. Il primo passo è stata l'approvazione da parte del Parlamento Europeo della proposta di riforma della Politica Comune della Pesca. Fra i provvedimenti più attesi, soprattutto dalle associazioni ambientaliste, il divieto di rigetto in mare, che ogni anno porta a sprecare 1,7 milioni di tonnellate di pesce, circa il 23% delle catture. La riforma infatti prevede l'obbligo da parte dei pescherecci di portare a terra tutte le catture, anche per motivi di controllo sul pescato. Dal 2015 inoltre non sarà possibile pescare più di quanto lo stock possa produrre ed entrerà in vigore anche il cosiddetto rendimento massimo stabilito, che prevede che per una certa specie non si possano catturare un numero di esemplari superiore a quanti se ne possano riprodurre in un anno. Previsti anche misure di sostegno alla diversificazione delle attività integrative alla pesca, oltre che premi per le pratiche sostenibili sia dal punto di vista ambientale che sociale. Si registrano già, però, i primi intoppi. La riforma, dopo il voto del Parlamento dello scorso 6 febbraio, è infatti passata in questi giorni attraverso il Consiglio dei Ministri della Pesca, come da prassi. Le misure approvate sono state in parte ingentilite, mantenendo solo il divieto del rigetto in mare ma è stata decisa una linea più morbida per quanto riguarda la regolamentazione della pesca intensiva. Il Consiglio ha dato quindi mandato alla presidenza Irlandese di avviare i negoziati per arrivare a una soluzione comune con un negoziato a tre che preveda anche il coinvolgimento del Parlamento e della Commissione Europea. Il problema non è solo ambientale, ma anche occupazionale. Perché le difficoltà di riproduzione dei pesci vogliono dire anche dimensioni minori del pescato e quindi calo produttivo, che si riverbera negativamente anche sull'occupazione nel settore. Quest'ultima infatti ha registrato un calo medio annuo del 4-5% negli ultimi tempi. La riforma, una volta a regime, permetterebbe di creare 37.000 nuovi posti di lavoro entro il 2022. Di questi tempi non è un aspetto da sottovalutare. Immagine: Flickr

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