Attualità

Linguismi | Huitres d'Autriche

pubblicata il 04.01.2011

Ogni volta che consumo le suole delle mie nobili scarpe cucite a mano sul suolo azzurro della costa meridionale di Francia mi riprongo di farmi una cultura sulle ostriche. Poi una volta compresa la differenza di prezzo tra Perle Noir, Fin d'Eclaire e Belon mi getto sui plateau a Gran Ganascia e mi dimentico dello spirito a favore di una belluina carnalità. Senza limone, senza cipollina, senza nulla: spazzolate così, sono una delle tre cose per cui vale la pena di venire al mondo e sapere che c'è il TG4.
Questa volta era la volta della Croisette dove, lasciate alle spalle le interessantissime vetrine delle griffes ai piedi degli alberghi a dodici stelle, un bel percorso di casette-banchetto natalizie invitava alla degustazione. E' del tutto normale, da queste parti, fermarsi a prendere un bicchiere di vin blanc ghiacciato con una douzaine di ostriche, ghiacciate, anche quando come oggi la temperatura non è propizia e il sole sta rintanato dietro una tendina di nuvole. I tavoli sono all'aperto, qualche volta riparati da paraventi trasparenti, qualche volta riscaldati dai funghi più eco[in]sostenibili che esistano, quelli che riscaldano l'universo per lenire il rigore della temperatura dell'aria. Allora ti fermi per sederti ad una delle botti riverse a mo' di tavolo e ordini una douzaine d'autriche. Il finto marinaio vestito da marinaio vero ti guarda con la faccia come per dire "eh?" e allora ricorri al linguaggio universale dei gesti: punti il dito verso le cassette di ostriche e ripeti: douze, autriche. Suona così bene, prova: "Otrìsc". Praticamente uguale.
Quando arriva il platò, il marinaio appoggia il vino, la vinaigrette, le ostriche e poi ti guarda sorridendo e dice, Vuassì, les Huitres.

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