Le sagre di paese creavano sempre un'isola di piacere attorno a un luogo ben definito della piazza o della via principale del centro: il banchetto dei dolciumi. Le poche botteghe di alimentari che proponevano caramelle nel corso dell'anno avevano una scelta molto limitata, il più delle volte nascosta in grossi vasi di vetro con coperchio, relegati nell'ultima scansia in alto, lontano dagli occhi e dalle bocche fameliche dei bambini. Il banchetto no: ostentava, quasi esagerato, dolci di tutte le fogge, consistenze e colori, suddivisi per aree. Per i bambini meno attratti dal sapore dolce, era la zona nera quella che attirava più di tutte l'attenzione e i sogni di grandi abbuffate. Lì si trovava la liquirizia, nella ambitissime rotelline da srotolare con lentezza infilandone un capo direttamente in bocca.
Oggi le cose sono diverse e le rotelline sono diventate ormai fuori moda, ma il consumo della liquirizia resiste sotto forme diverse, più aristocratiche e naturali, come i pezzetti di radice. Quelli che presumibilmente succhiavano anche gli abitanti della Mesopotamia, dell'antico Egitto, i greci e i romani. A quei tempi il commercio della radice di liquirizia era particolarmente florido, soprattutto dalle regioni elleniche, a scopo farmaceutico. Qui, nella zona del Mediterraneo, si utilizzava principalmente sotto forma di infuso per curare patologie specifiche, mentre nella zona medio orientale, soprattutto in Cina, il consumo era principalmente in polvere, con un uso più generico di riequilibratore dell'organismo.
La
Glycyrrhiza glabra appartiene alla famiglia delle leguminose, quelle che in termini scientifici è più corretto chiamare
Fabaceae. Il nome deriva dall'unione di due parole greche:
glykys e
rhiza, rispettivamente radice e dolce. La radice contiene principalmente zuccheri e amidi, più tutta una serie di olii volatili. Ma i due componenti fondamentali che caratterizzano la piacevolezza e il valore commerciale della radice è l'equilibrio fra il contenuto in zuccheri e la glicirrizina (acido glicirrizico). Il contenuto in glicirizzina varia nei vari stadi di crescita della pianta, ma sembra essere più regolare in zone in cui la temperatura rimane abbastanza costante nel corso dell'anno. La glicirizzina è la sostanza più caratteristica della liquirizia, quella a cui vengono attribuite proprietà medicamentose, ma ha una grossa influenza anche sul gusto finale: un contenuto eccessivo porta infatti un sapore pungente e quindi sgradevole.
Pare essere proprio questa la fortuna della liquirizia calabrese, un raro equilibrio fra tutti i componenti della radice che le conferiscono un gusto unico e piacevole, tanto da essere considerata qualitativamente la miglior liquirizia al mondo. In realtà in Italia si può ritrovare anche in Sicilia, Puglia e Abruzzo, ma è in Calabria che la pianta trova le condizioni ottimali di sviluppo, tanto da aver ricevuto nel 2011 il riconoscimento della DOP. La liquirizia è una pianta infestante con una particolare resistenza al gelo, che arriva al metro di altezza. È caratterizzata da un sistema molto sviluppato di radici che comprendono stoloni orizzontali che possono arrivare fino a due metri di lunghezza. Sono proprio le radici di piante di tre-quattro anni a essere utilizzate in campo farmacologico e alimentare, raccolte in autunno, essiccate e decorticate. La raccolta è manuale, dopo lo sfalcio della parte superficiale, e di norma permette il perpetuarsi della specie, in quanto pezzetti di rizomi rimangono sempre nel terreno e danno in seguito origine a nuove piante.
Da qui in poi la liquirizia viene sottoposta a un trattamento atto a estrarne il succo tramite infusione in acqua bollente o pressatura molto spinta, a seconda dell'utilizzo finale, e successiva concentrazione. Si ottiene così una pasta di liquirizia che può essere venduta in pani per utilizzi industriali oppure estrusa e trafilata, pronta ad annerire di gioia le nostre bocche.
Immagine: Rimedi della nonna