Attualità

Merano Wine Festival | Purchè sia Bio

pubblicata il 13.11.2012

Sta diventando una moda anche dire che il vino naturale è una moda. Gli slogan sono così forti da superare il loro stesso significato, e il vero problema è capire se la corsa a salire sul carro bio è sana o grama. Lasceremo ad altre e più autorevoli penne tastiere il compito di registrare il fenomeno nella sua essenza: qui vale la pena di raccontare come ha espresso il fenomeno il MWF 2012. Prima annotazione, ancora prima di alzare il calice: a pochi giorni dalla manifestazione di Fornovo - Vini di Vignaioli - lo stridente contrasto tra le colonne marmoree vagamente glamour del Kurhaus e il pauperismo latente dei tendoni parmensi. Vien da fare il tifo per le vie di mezzo. La seconda, aggirandosi tra i banchetti, è per la tipologia di produttori: poche sovrapposizioni, e una sensazione - poi confermata dagli assaggi - di maggior misura nella ricerca della naturalità. Per fare un paragone musicale, più pop lassù, più indie quaggiù. Alla sera, con le papille maltrattate da infiniti tannini, screanzate acidità, vigorosi alcolismi, qualcosa ti ricordi. Ma molto va smarrito in distinguo così sottili da perdersi come lagrime nella pioggia [cit.]. Per esempio, all'Azienda Agricola Marabino ti ricorderai il polputo Moscato Passito e il Nero D'Avola Riserva 2009, energico e palatabile; da Vallarom uno dei bicchieri "speciali" della giornata, quello strepitosissimo Pinot Nero 2005 che sfonda il muro della medietà con frutto asciutto e fermo, aromi precisi e personali fuggendo da ogni caricaturale tentazione borgognotta. Bello, teso, profondo. Oppure il formidabile Primitivo di Polvanera 2010, un vero lapillo di vulcano immerso in un cocktail di spezie senza fine. Da misurare anche il Dolce, un primitivo con la fermentazione bloccata che incuriosisce, ed ha le potenzialità per convincere. Una puntatina in Francia-Alsazia, che tanto bene aveva ispirato una settimana fa, che invece delude con Domain Ostertag, che presenta vini corretti, ma persi in una formalità che non si fa ricordare. Molto più incisivo l'austriaco Mantlerhof, con i suoi Gruner Veltliner decisi e vibranti: memorabile il cru Weitgasse, verde ed elettrico, aggrappato al ricordo come un film. Bello anche lo Chardonnay Auslese Trocken 1999, mirabilia nel sorso, dolcezza e finezza. Passati i Durello di Fongaro, di cui pare più caratterizzato il Brut dei due coraggiosi Pas Dosè da 36 e 48 mesi di riposo sui lieviti, ecco le belle fucilate di piemontesità di Punset, con il Barbera 2009 che si libra a belle altezze di felicità. Intenso e generoso, appare solo all'istante schivo, quasi ritroso, per farsi acchiappante lungo il sorso. Menzione anche per il Barbaresco. Interessante la galoppata nella galassia Loacker, dall'Austria alla Maremma: un travolgente Chardonnay della Valle Isarco, dolce di zucchero e potente d'alcool, ricco di un sorso tagliente di succo; più carnosi i Lagrein, e caldo pure il Morellino che invece non mi ritrovo tra le cose imperdibili. Brunello piccolo, ma retto. Finale siciliano: un Etna detonante per i Custodi dell'Etna, con questo rosso del versante nord che fa schioccare la lingua; e le due proposte di Lipari di Castellaro: il Bianco Pomice - Carricante, Malvasia ed altro - e il Nero Ossidiana da Nero d'Avola e Corinto, una varietà dimenticata. Vorrei assaggiarli di nuovo, con meno tagli sul palato. Dunque una sfilata di prove ingegnose, spesso coraggiose, a volte generose. La costellazione naturale che cerca una definizione, un'identità tra il credo e l'urgenza commerciale. Per conto mio mi coltivo ancora tutti i dubbi, e continuo a procedere da absolute beginner, prudenzialmente.

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