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Napoli | Itinerario essenziale in tema di pizza

pubblicata il 25.05.2012

A Napoli non si mettono due passi in pari: la città si arrampica e sprofonda, storce e digrada. S'adombra e risplende quasi ad ogni pietra: e non vale di tenere una linea, perché il forestiero perde subito l'orientamento. Il sole del pomeriggio scompare dietro il reticolo di finestre, gli intonaci colorati e scolorati e poi scrostati e di nuovo ricolorati. Napoli cammina con te, osservandoti ad ogni passo dove metti i piedi, pronta a fucilarti di scorci struggenti - che puoi solo guardare di sfuggita - e di prospettive assurde, ingannevoli. Le regole della geometria si perdono per le risalite, nei bassi, nei fòndaci; l'idea di architettura travalica la funzione e diventa un corpo organico, in cui la gente fluisce come sangue nelle vene. E Napoli oggi non è nemmeno più il pittoresco 'ncoppa jamm' ià, perché ne ascolti a babilonia: slavi e africani, angli e sassoni, turcomanni e levantini tesi tra l'uno e l'altro dei Decumani. Una sorta di energia esoterica cauterizza le ferite provocate da slarghi di bellezza devastata e omicida, come quando Jorge Amado si perde nelle lunghe descrizioni di incomprensibili divinità brasiliane: e qui pare che ogni pietra si porti dietro una sua quarta, quinta, anche sesta dimensione in cui si rannicchia tutto un genere d'altrove così alieno e così perfettamente inscritto nella città da risuonare di palpiti superumani. E Napoli a camminarla, mentre Napoli cammina con te, fa la parte del coro, della scena, e del deus ex machina, perchè Napoli può tutto. Anche sospendere il tempo per quelle due ore e farti che credere che sì, anche un altrove come questo è plausibile.
Allora conficchi gli alluci sul selciato e scendi da Forcella, fino al posto all'aperto di Vincenzo Costa: che non fa lunga di ingredienti gurmè, ma ti porta il suo pizzino con la salsa di pomidoro acidulo, la sua mozzarella trifolata, il ripieno sovrabbonadande dei calzoni: da schiacciare a portafogli ed azzannare bavezzandosi, dieci euri e una birra, e un gaudio piccolo ma fermo. Se vuoi alla pasta manca la fragranza delle farine di pregio, il condimento è pop: ma questa è la pizza che s'ama, quella che t'immagini, quella a cui pensi quando penzi pizza.
Scendi ancora e provi ad entrare da Michele: il più famoso, con i suoi tavolinettini di marmo di quaranta centimetri, che se sei solo magari ti trovano posto con uno sconosciuto: ne servono solo due tipi, la marinara e la margherita, e non ostante le foto di Julia Roberts alle pareti è un po' così: molle alla mandibola, e un po' pertinace al morso. Condimenti prevedibili, e un po' di delusione.
Risali fino alla bottega implosa di Di Matteo: che pare piccolissima ad entrare, poi s'apre come un tesseratto. La pasta qui è bella fragrante, almeno per qualche minuto: poi il condimento robusto, pur nella normalità quotidiana e popolare della mozzarella a cubetti. Ma va via a suon di ganasce, e non s'affeziona allo stomaco.Poi c'è Napoli e c'è il crepuscolo. E poi Napoli si fa scura, si fa notte, si ripiega e si trasforma: quasi evapora tra gli ultimi raggi che affettano i tetti, su.Napoli si fa bella. E imprendibile. E io l'amo, perdutamente.

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