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Ossolano DOP: il tesoro dell’Alto Piemonte da scoprire

pubblicata il 03.10.2023

Il silenzio di luoghi incontaminati e remoti, dal Parco Veglia Devero alla Val Formazza, tra acque limpide e cime imponenti a fare da cornice, sono lo scenario in cui nascono i formaggi gourmet di montagna. È qui, al confine tra Italia e Svizzera, che viene prodotto un vero tesoro caseario di antica tradizione: l’Ossolano Dop

Trentotto comuni, disposti a ventaglio nella provincia di Verbania Cusio Ossola: è questo il territorio di produzione dell’Ossolano DOP, denominazione ottenuta nel 2017 che ha gettato le basi per la costituzione e il riconoscimento del Consorzio per la tutela, la promozione e la valorizzazione del formaggio ossolano. Un formaggio che non solo è buono, ma rappresenta la storia, i simboli e la natura del posto in cui gli agricoltori Walser arrivati dalla Svizzera, e i casari, lo hanno creato.

Le origini, tuttavia, sono ancora più remote: le testimonianze documentali più antiche in cui compare il nome dell’Ossolano risalgono al 1006 d.C., quando il Vescovo di Novara, Pietro, affittò gli immobili della Pieve di San Vincenzo a Grimaldo per 100 libbre di formaggio Ossolano.

Prodotto come una volta

L’Ossolano Dop viene prodotto in alpeggio sopra i 1400 metri, con latte da bovini allevati al pascolo. Un vero e proprio rito antico che si ripete ogni anno dal 1 giugno al 30 settembre, in piccole aziende a conduzione famigliare, dalla mungitura alla stagionatura.

Micro realtà in cui i capi di lattifere sono 30 o poco più e i foraggi provengono per almeno il 60% dall’area demarcata che si estende sul versante italiano delle Alpi Pennine, dal Monte Rosa al Gries, e corre da nord a sud per circa 72 km.

Il latte appena munto viene lavorato crudo o pastorizzato, aggiungendo caglio a una temperatura compresa tra 36 °C e 39 °C. La cagliata viene rotta per circa dieci minuti, fino a ottenere dei granuli grandi come chicchi di mais. A questo punto si avvia la cottura sotto siero, o semicottura, a una temperatura compresa tra 42 e 45 gradi.

Terminato il riscaldamento, si estrae la cagliata, che viene successivamente pressata per espellere il siero residuo e per omogeneizzare la massa caseosa. Sono proprio la pressione e la semicottura a distinguere l’Ossolano DOP da altri formaggi prodotti in zone limitrofe.

Segue la fase di marchiatura attraverso l’utilizzo di fasce marchianti. Dopo la salatura, che può essere effettuata a secco o in salamoia, le forme vengono conservate in idonei locali di stagionatura alla temperatura di 5-14°C con umidità relativa del 75-90%, per un periodo minimo di 60 giorni.

Tutto merito del latte profumato

Le forme dell’Ossolano Dop hanno un peso che varia da 6 a 7 kg (da 5 a 6 per il prodotto ottenuto in alpeggio e qualificato in etichetta con Ossolano d’Alpe”), e diametro da 29 a 32 cm. La sua crosta è liscia, regolare, di colore paglierino. Più avanza la stagionatura, più il colore diventa intenso. Così come la pasta, che è elastica e morbida, con occhielli piccoli e regolari. Quando l’Ossolano Dop raggiunge il naso si riconoscono subito le essenze vegetali locali di cui i bovini di razza Bruna, Frisona, Pezzata Rossa e loro meticci al pascolo, si nutrono. L’aroma caratteristico di questo formaggio è il risultato di un latte profumato: il sapore è armonico e delicato, legato alle varietà stagionali della flora.

 

Ossolano Dop in cucina: i piatti della tradizione

Come gustarlo al meglio? A temperatura ambiente, e possibilmente stagionato. L’Ossolano è come un vino di classe, che sprigiona i suoi aromi col tempo. Errore da non commettere: consumarlo freddo di frigorifero.

Particolarmente adatto come formaggio da tavola oppure come ingrediente di primi piatti, come ad esempio i tipici gnocchi ossolani, preparati con un impasto tipicamente autunnale di farina bianca e di castagne, a cui andranno aggiunte le uova e la polpa di zucca. Oppure nel Risotto all'Ossolano con riduzione al Prünet, che abbiamo preparato insieme agli chef Ugo e Marco dell'Hotel Edelweiss LareSpa.

Perfetto anche come fonduta, la zuppa di pane nero e nella preparazione della polenta concia. Nel bicchiere, un classico abbinamento con vini rossi strutturati come Barolo e Barbaresco.

Eleonora Lanzetti

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