Enigma risolto? Ebbene no. Prima che la storia diventi troppo lineare, torniamo a confondervi le idee con altre ipotesi etimologiche che mischiano le carte in tavola. C’è infatti chi sostiene che il termine “parmigiana” derivi da “petronciana”, nome dialettale della melanzana, e chi fa notare come a un certo punto dalla ricetta sparisca il pecorino ed entri a piedi pari il parmigiano reggiano, spostando di fatto verso nord, e in particolare verso l’Emilia, il baricentro della questione.
A complicare ulteriormente le cose c’è una seconda testimonianza, risalente al 1839 e firmata dal cuoco e letterato Ippolito Cavalcanti. Questi, nell’appendice dedicata alla cucina casereccia del Napoletano contenuta nel suo volume Cucina teorico-pratica, invita a friggere le fette di melanzane per poi disporle a strati, insieme a formaggio, basilico e brodo, o salsa di pomodoro. Il piatto così composto andrebbe fatto stufare in forno prima di essere portato a tavola: la ricetta, come si vede, è già estremamente simile a quella attuale.
Per restare in area campana: nel Novecento ci fu chi invece attribuì la genesi del piatto alle sorelle Pirozzi, cuoche di una storica trattoria di Ischia Ponte che serviva quella che divenne famosa come la miglior parmigiana del mondo. “Una parmigiana spessa tre dita che si tagliava facilmente a fette, fresca, appena stufata e profumata di basilico”: così la descrive Jeanne Carola Francesconi, scrittrice esperta di ricette partenopee, nell’importante volume La cucina napoletana.
Molti provarono a indagare per scoprire il segreto di quella bontà. Nacquero le ipotesi più curiose: secondo alcuni, le sorelle Pirozzi mettevano l’uovo nella parmigiana; secondi altri, addirittura il cioccolato. L’enigma, però, non venne mai svelato.