Attualità

Pesca al Salmone nello Yemen, Paul Torday [7.5]

pubblicata il 23.07.2012

Gillie: uomo o ragazzo del cui aiuto ci si avvale su molti fiumi scozzesi, il cui compito consiste nello stare al fianco di chi pesca, e spiegargli perché è molto improbabile che catturi un salmone con la tecnica di cui è in possesso. Questa frase estrapolata dal glossario in fondo al libro di Paul Torday esprime e sintetizza il tone of voice del bel racconto: molto british, molto sussurrato, molto affilato. Una cosa del genere la avrebbe potuta scrivere un Woodhouse contemporaneo. Torday usa lo stesso timbro di voce passando attraverso registri anche piuttosto scaleni: dalla corrispondenza via mail alla trascrizione di interviste tv, ai verbali di interrogatori. Molto scritto sulla base dell'io narrante che cambia: una storia assurda che diventa palusibile con la fede dello Sceicco yemenita che vuole portare la pesca del salmone nello uadi millenario dietro al suo villaggio. Ricchezze immense e trame politiche di basso cabotaggio, filtrati da uno humor nero, per una storia bislacca che sfiora la fantascienza: ma resa possibile dalle immense ricchezze del petrolio e dalla potenza visionaria del sogno. Una lettura piacevole, che porta via 10 ore in un lampo, acchiappando forte: il filosofo potrebbe rilevare qualche indulgenza di troppo nel delineare i personaggi, che a volte appaiono come macchiette. Come Mary, la moglie dell'ittiologo capo progetto. Così prevedibilmente antipatica da sembrare finta. Per il resto vine voglia di andare in Iscozia, di comprare una canna da salmoni, o di scrivere un libro sulla coltivazione dei pistacchi in Islanda, per dire. "Prima viene la fiducia. Con la fiducia viene la speranza, con la speranza viene l'amore. Ma prima viene la fiducia."

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