L'automobile è un bellissimo strumento, offre innumerevoli opportunità. Una, ad esempio, è la possibilità di spazzare via i luoghi comuni orecchiati a destra e a manca andando sul posto a vedere le cose. Tipo arrivare a Schiavòn a visitare Poli e il Museo della Grappa.
Schiavòn, con quella "o" molle e accartocciata che usano qui per queste parole troncate, abituali in lingua veneta e traslate in italiano. L'italiano - la lingua - in effetti soccombe alla delicatezza delle sfumature espressive della grappa. Fortuna che che ho un quarto di sangue veneto, e seguo bene il racconto di Jacopo Poli che ben si presta a spiegarne l'origine, l'evoluzione e la contemporaneità. A partire dalla medievale Acqua di Vita, e poi acquavite, così chiamata per le sue virtù antisettiche. Dalla distillazione del vino, dei frutti, della pimpinèa: la pimpinella, il vinello sottile ottenuto dalla sciacquatura delle vinacce.
E poi la distillazione a metodo diretto, con le conseguenti problematiche di bruciatura delle vinacce, e le successive evoluzioni: tutto attraversando i secoli tra apparecchiature che sarebbero state attuali in un film di fantascienza degli anni trenta ambientato nel 2000. Oppure macchine da guerra di invasori astrali a bassissima tecnologia.
Il racconto prosegue fino ad una clamorosa discontinuità: la grappa "moderna" è nata nel 1951, formalizzando - per motivi imperscrutabili - la definizione escusivamente legata alla distillazione di vinacce, cioè la cosa più complicata che c'è in distilleria. Prima la grappa era - quasi - un sottoprodotto della produzione di acido tartarico, o una risultanza della dell'alcool puro a 96°.
Se poi hai la fortuna di partecipare ad una Masterclass guidata dai fratelli Jacopo e Andrea Poli, scoprirai quante sciocchezze hai depositato tra le ragnatele della tua superficialità a proposito della grappa: che tutti - o quasi - crediamo appannaggio di bevute rustiche e rubizze, ebbrezze e canti d'osteria. E invece le grappe vanno blandite, quasi solo annusate perché è nel profumo che risiede il loro carattere. E butterai via la famosa domanda fine-pasto, "Secca o Morbida", e proverai a comprendere cosa significa Giovane, Invecchiata, Aromatica, Aromatizzata. E cosa sono i liquori e le acqueviti.
Ecco qualche nota da absolute beginner, rubata ad una travolgente sessione mattutina: stordimento da sorpresa, e non da annebbiamento alcoolico, laddove la grappa in degustazione quasi non s'assaggia, ma si odora sopra tutto.
La grappa "giovane" da vinaccia bianca: l'Amorosa da vinacce Vespaiolo è cristallina, aromatica, floreale, delicata, con richiami burrosi di pasticceria. Da vinaccia rossa hai la "Sarpa" - da vinacce Merlot e Cabernet - che è altrettanto bianca e limpida, ma ha un aroma più ombroso, deciso. E' tonda e bitorzoluta, mentre al termine regala un lungo finale freddo e balsamico, come un innesto di menta.
Cleopatra Prosecco Oro, il nome autoesplicativo per una grappa riposata quasi un anno in barrique: aromatismi mai dolci all'attacco, poi seguito preciso e lineare di mandorla e mandorla amara. FInale preciso, stretto, racchiuso attorno ad un richiamo di camomilla. Cleopatra Amarone Oro sgombra il campo da un altro pregiudizio: che da vinacce "potenti" esca una grappa "potente". In realtà il processo produttivo dell'Amarone rilascia vinacce delicate, che hanno già dato tanto: quindi una grappa ambrata ma delicata, attraversata da note tostate di caffè e da piccoli richiami sintetici più freddi. Solo il finale è nervoso, con un retrogusto insistente che s'arrampica sul palato.
La Po' Morbida è la grappa di Moscato, quella che i faciloni affibbiano alle donne: invece anche questa "giovane" è sì aromatica, spessa e zuccerosa di zucchero bruciato, ma poi viene attraversata dal filo elettrico dell'agrume, dell'erbaceo, di un finalino come di salamoia. Paga in lunghezza quello che acquista in complessità, pur avendo conosciuto solo il freddo acciaio.
Barili di Sherry, si spiega nel nome: 2 anni di botti Pedro Ximenez, e rilascia le ovvie ciliegie, la frutta rossa, e tanto legno. Finale ancora balsamico. Altrettanto preziosa Barili di Torcolato, altra "Invecchiata" due anni per avere quei profumi agricoli di zucchero di canna, di erbe officinali. Assaggio fitto e schietto, ma non privo di dolcezze. Poderoso infine l'atterraggio sulla "Barrique" un prodotto della saga familiare dei Poli che ha riposato ben 13 anni in legno ed esprime compiutamente questa gran ventata di vaniglia, di pasticceria, di panettone. La frustata d'acool - siamo a 55° che non si sentono - compensa la "dolcezza", le virgolette d'obbligo. Finale eterno.
Per comprendere la differenza tra la distillazione di vinacce e di vino - il procedimento del Cognac - ecco l'Arzente, dannunziana definizione per Acqua Ardente: dopo 10 anni di invecchiamento le vinacce di Trebbiano regalano sensi caldi e seri, con frutta rosse, limone, caramello. Assaggio che ricorda pur semplicisticamente i rum "agricoli". Ancora dalla distizzazione dell'uva intera ecco Uva Viva, dal naso piccolo e pulito, legegrmente aromatico, sulle essenze millefiori di memoria partenopea. Il finale, sottile e gentile, tra l'anice e le erbe.
Per i curiosi: il distillato di lamponi, lamponescamente franco, e la grappa aromatizzata al miele, talmente caratterizzata dal dolce nettare da non avere altri spazi espressivi.
Finire l'esperienza nelle "segrete" della distillerie tra distese di barili che farebbero impallidire la maggior parte delle bottaie vinicole, magari rimanendo preda di fascinazione profonda di fronte alla piccola presa di botti Rotschild, con il distillato di vinacce di Chateau Lafite. O nella "fucina" della distilleria, dove il rame si piega in fogge animalesche tra serprentine e colonne, coperchi e pentoloni, e la sempre occhiuta vigilanza fiscale che non molla la presa nemmeno un istante.
Tutto romantico e a misura d'uomo? Sì, salvo penetrare nei laboratori dove si compiono le analisi, che con l'alcool non si scherza. Gascromatografi e migliaia di campioni, in verità nulla è lasciato al caso.