Attualità

Produttori | Pojer & Sandri a Faedo

pubblicata il 21.02.2014

Per parlare con Mago Merlino devo accettare di salire con lui sulla giostra. Non puoi pensare di stare lì mollemente accucciato sui tuoi pensieri, ma devi seguirlo nelle sue derive, nelle tangenti, nelle fughe e nelle riprese.
Il sorriso che resta sempre confinato dietro il sipario dei suoi giganteschi baffi prebellici è contagioso, e rappresenta una visione della vita: sorrisi per i successi (grandi) che la cantina di Faedo ha segnato sul suo ormai ampio pallottoliere, e sorrisi per le difficoltà che comunque hanno qualcosa da insegnare. Non per uno sterile giuoco di positivi, ma per l'abitudine di cercare il meglio, ovunque.
Mario Pojer ti confessa l'ardimento del mestiere di vignaiuolo comunicatore, gli aerei, i treni, i chilometri. I tanti amici a cui dedica sempre meno tempo di quello che vorrebbe. I tanti progetti abbozzati e pronti per esplodere in vulcanismi. Mario Pojer è l'affabulatore che ti ipnotizza con le storie di invenzione e di scoperta. Senza l'arroganza del  so-tutto-io, ma con l'orgoglio di chi prova, esperimenta, rischia. Mario Pojer è anche la metà visibile della ragione sociale. L'altra metà è Fiorentino Sandri, attento alla campagna ed alle cose di conto.
Ti conduce nel ventre della cantina, tutta scavata in una roccia friabile che ha reso epica l'impresa, non prima di un piccolo esempio di cosa significa ingegnosità: tubi di plastica da impianto idraulico, del diametro giusto, consentono di impilare i bicchierini vuoti della macchinetta del caffè. In uno spazio di pochi centimetri ci stanno 300 bicchieri, in luogo dell'enorme bidone che occorrerebbe per contenerli sfusi. Ordinati, puliti, facili da smaltire. Semplice, economico, geniale.
Ecco. A Faedo, via dei Molini si fa vino dal 1975 con questa freschezza mentale, che con la stessa brillantezza conduce la distilleria da cui escono i liquori, le grappe e i brandy. Racconta, Mario, di quel milione e due che servì a comprare le prime vasche di cemento, nel 1975, per le uve dei primi due ettari. Poi i trionfi degli anni 90 e l'oggi. più complicato e difficile che mai, ma affrontato con una batteria di etichette prosperosa e ampia, densa di colpi di teatro. Il Fili, vinellinello da 8 gradi alcoolici, che va via come l'acqua di ruscello. L'importante Merlino, il vino fortificato che è diventato un cult. E lo Zero-infinito, un bianco frizzante fatto con niente niente da una varietà di vite a metà tra la vinifera e la selvatica, autoantiossidante, curioso.
Una produzione divisa tra l'incessante, inesausta ricerca della correttezza formale, dell'integrità del frutto, del rispetto del luogo d'origine, con una ricchezza di sfumature che renderebbe stucchevole l'elenco dei prodotti e delle caratteristiche.
Ma dietro alle etichette del Dürer, ossessione artistica del nostro Mago Merlino, c'è una vocazione assoluta, priva di incertezze e di esitazioni. Che sia nei potenti, asciutti Val di Cembra o nei suadenti Trentino, che sia nel deciso Brut Cuvèe o nel succoso, dolcissimo nettare Essenzia. Sempre su strade impervie, a volte brillanti della luce dell'immenso.
Salutare Mago Merlino è altrettanto difficile: scendere dalla giostra, provata quell'ebbrezza, è immediato fomento di nostalgia. Per fortuna c'è anche tutta l'altra parte da vedere, e tutti i vini nuovi. Tocca tornare.

Condividi

LEGGI ANCHE