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Il cibo queer: che cos’è e perché sarebbe importante conoscerlo meglio

pubblicata il 18.06.2024

Un’idea affermatasi negli ultimi anni, ma destinata a durare a lungo: quello del queer food è un mondo privo di pregiudizi e dettami, aperto all’esplorazione e, soprattutto, accessibile a tutti

Che cos’è il cibo queer? Per avvicinarsi a questo concetto bisogna fare un passo indietro e risalire alle origini dell’aggettivo. Queer, in inglese, significa “strano, eccentrico, bizzarro”. Nel XIX secolo era usato come insulto nei confronti delle persone omosessuali, ma in tempi recenti è stata proprio la comunità LGBTQIA+ a riappropriarsene, per designare genericamente tutte quelle identità e quegli orientamenti che si discostano dalla norma. Non è quindi solo una questione affettiva o sessuale, ma di conoscenza di sé e di apertura nei confronti del prossimo, chiunque sia.

In fuga da ogni definizione

Se state pensando a torte, sandwich o muffin arcobaleno, siete fuori strada: prima di tutto, c’è una questione di approccio. Il queer food è l’esplorazione e l’affermazione della propria identità attraverso il cibo. Una ricerca continua, fra pietanze e preparazioni che sfuggono a ogni definizione. È la commistione, anziché la separazione, di gusti diversi (dolce e salato, o aspro, o amaro); l’utilizzo di ingredienti e abbinamenti inediti; la sperimentazione di sapori e consistenze. Non la ricerca del bizzarro in sé, ma l’invenzione di un nuovo mondo culinario che sfidi le norme. «Non è un elenco specifico di ricette o piatti» spiega John Birdsall, autore di spicco e volto noto di questa corrente, «bensì tutto quello che gli ruota attorno: chi li ha preparati, chi li serve, chi li mangia».

Nell’ottica queer, il cibo è consapevolezza. Significa prestare attenzione alla provenienza delle materie prime, alla catena di produzione, ai diritti dei lavoratori, al rispetto degli animali. Ha a che vedere con la visibilità e il riconoscimento sociale delle individualità coinvolte nel processo alimentare, affinché possano esprimere pienamente le loro storie e la loro realtà nei piatti che preparano.

Soprattutto, il cibo queer è gioia, piacere, divertimento. E comfort: quella sensazione di agio, comodità e calda accoglienza che purtroppo a molto individui della comunità LGBTQIA+ spesso è preclusa. Ancora oggi.

Alle origini del queer food

Non stiamo parlando di una nuova moda, o di un trend ammiccante destinato a sparire in fretta. Già nel 1965 negli Stati Uniti è uscito The Gay Cookbook di Lou Rand Hogan, un libro di ricette per uomini omosessuali che ricorda più le atmosfere de Il vizietto (film di Édouard Molinaro del 1978, con Michel Serrault e Ugo Tognazzi) che non i dibattiti e gli approfondimenti di oggi, ma che ha avuto il merito di inventare un nuovo filone là dove prima c’era solo silenzio.

Sempre negli Usa, il queer food in accezione contemporanea è un tema in auge da più di dieci anni e che continua a venir esplorato in maniera del tutto aperta e trasversale: ci sono studi universitari, ristoranti dedicati, enti e fondazioni, iniziative di beneficenza come la Queer Soup Night (serate a tema per fare rete sul territorio e raccogliere fondi da devolvere ad associazioni benefiche). Inoltre, dal 2015 viene pubblicata una rivista a tema, Jarry, che indaga le connessioni fra cibo e cultura queer e funge da punto di riferimento per chiunque abbia a che fare con il mondo dell’alimentazione: produttori e chef, ma anche giornalisti, fotografi, artisti e naturalmente consumatori desiderosi di mangiare in maniera più consapevole.

Il punto più alto, per lo meno fino a oggi, è stato l’evento tenutosi all’università di Boston il 27-28 aprile 2024: la Queer Food Conference ha raccolto i più attivi esponenti del settore per una due giorni di incontri, seminari, workshop… e naturalmente, visto il tema, grandi mangiate in compagnia. Perché il cibo è anche, e soprattutto, un modo per stare insieme.

Da tutti, per tutti

Quello del queer food è un mondo fluido, impossibile da categorizzare e che per questo può apparire ambiguo, o addirittura esclusivo. Ma non lo è affatto, anzi: fra i suoi punti di forza c’è l’inclusività, a tutto campo. Questo significa proporre piatti e soluzioni culinarie il più possibile accessibili a tutti, anche dal punto di vista economico.

Ricorderete forse il bel film di Ferzan Özpetek, Le fate ignoranti (2001), in cui il protagonista Michele (Stefano Accorsi) è l’amante di un uomo sposato, Massimo, che muore in un incidente stradale. Solo a questo punto sua moglie Antonia (Margherita Buy) scopre la verità sulla relazione clandestina del marito. Desiderosa di saperne di più, la donna prende a frequentare Michele e la sua variopinta comunità di amici, che si ritrovano nella terrazza del ragazzo in ogni occasione, e in particolare per il pranzo della domenica. 

Quei pasti condivisi sul tetto di un palazzo popolare di Roma sono forse l’esempio migliore del valore comunitario del queer food. La cucina è amore, è collante, è famiglia: un concetto che, per molti membri della comunità queer, è meno scontato del previsto, e che spesso si basa su affetti intenzionali, costruiti nel tempo. Non legami di sangue, ma legami di cuore. E di cibo.

Cosa si mangia?

Finora abbiamo cercato di riassumere i valori e le idee che ruotano intorno al concetto di cibo queer, in un excursus necessario per capire la questione. Adesso, invece, è arrivato il momento di andare a sbirciare in cucina per vedere, letteralmente, cosa bolle in pentola.

L’ideologia queer si propone di abbattere gli stereotipi legati all’alimentazione. Tanto per citarne alcuni fra i più radicati: chi l’ha detto che “gli uomini veri” mangino carne, che il vino rosé sia da donne, che le verdure siano solo un accompagnamento e non un piatto forte?

Il queer food propone una cucina innovativa, libera e gioiosa, con influenze vegan e fusion. Poco pesce, pochissima carne, tanti legumi, verdure, spezie e aromi naturali per insaporire e dare colore. Qualche esempio? Fra le ricette pubblicate da Jarry nel corso degli anni, si possono citare una pastina in brodo di pollo (ricordate il bisogno di comfort a cui accennavamo poco fa?) aromatizzato con zenzero e lemongrass, oppure un’insalata di scarola, finocchi e noci condita con un’emulsione di succo di lime e sciroppo d’acero.

Se la cucina tradizionale suggerisce di attenersi agli ingredienti e cambiare il meno possibile, per non snaturare la ricetta originale, quella queer va in tutt’altra direzione: è un invito al divertimento e alla sperimentazione. Ecco allora la proposta di cheesecake dolci e salate insieme, con cipolle caramellate e aceto balsamico, o il forte utilizzo di ingredienti ritenuti “strani”, come le alghe o l’okra, una verdura al contempo morbida e croccante, molto usata nella cucina turca, araba, balcanica, indiana e nordafricana. Oppure ancora il tofu, uno degli alimenti più apprezzati: è un formaggio di soia, e già per questo è bizzarro; può diventare un hamburger vegano, oppure finire in una zuppa, o fritto, o ancora in un dolce. È quel che è, ma può essere tutto ciò che vuole: cosa c’è di più inclusivo di così?

Il cibo queer è accogliente, abbondante, avvolgente. È il vin brûlé che scalda il corpo nelle notti fredde (e al contempo combatte l’idea che il vino sia solo una bevanda da intenditori). È una pentola di zuppa fumante da gustare insieme. È una torta golosa da dividere fra amici, perché nessuno debba più sentirsi escluso o solo.

Kyle Fitzpatrick, una delle firme del brand digitale Eater, afferma: «Il cibo queer non esiste. Eppure, una volta che inizi a cercarlo, lo trovi ovunque». E forse questo è il modo migliore per raccontare un mondo difficile da definire e in continua evoluzione, ma che proprio per questo può offrire una marea di spunti, culinari e non, a chi ha voglia di scoprirlo.

Manuela Mellini

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