Attualità

Ricci | Libertà di scelta e consenso informato

pubblicata il 08.03.2011

Due righe, fuori tempo massimo, mi sento in dovere di scriverle anche io. Lascerò per una volta il ruolo di Talebano all’amico Marco Pion per vestire qui i panni scomodi del moderato. E chiedo a voi, platea che immagino composta perlopiù da gourmettari, amanti del vino, della cucina, della buona tavola: quali sono i fattori che vi muovono nello scegliere un corso per approfondire la vostra passione? Con quale criteri scegliete un organizzatore piuttosto che un altro? Occorre fare una premessa: per poter scegliere bisogna prima essere informati o avere fonti attendibili a cui rifarsi. Altrimenti si finisce spesso per dare retta a chi veste l’abito migliore e fa la voce più grossa. E qui casca l’asino. Potremmo chiudere il post già qua. Ma andiamo oltre. Sono davvero parecchi i fattori da tenere in considerazione. Imprescindibili però restano l’autorevolezza e la competenza dei docenti.  Evidentemente il caravanserraglio del mondo brassicolo nazionale comincia a fare sempre più rumore, fa gola, gli interessi commerciali di industriali e ristoratori crescono, nuovi attori cominciano a calcare il palcoscenico. Nulla di male, se sono bravi a recitare. E quando, restando nella metafora, un grande attore di teatro viene reclutato dal mondo del cinema le aspettative sono alte, il richiamo è forte e il pubblico non resta indifferente. E’ quello che più o meno sta accadendo con la discesa in campo dell’AIS nell’arena dei corsi di degustazione di birra, gente che di sicuro la sa lunga a proposito di vino. Che siano dei pinguini o meno poco importa, uno può sempre imparare l’arte ed esercitarla in braghe corte. Che il corso sia svolto in collaborazione con Assobirra, associazione degli industriali della birra (Peroni & C. per capirci, ma anche artigiani come Baladin e Birra del Borgo, tanto per sparigliare un po’ le carte e confondere le idee) ha invece ben altra importanza. Un po’ come se i corsi AIS per sommelier fossero organizzati in collaborazione con... la Nestlé e la Coca Cola. Ma non rende nemmeno l’idea. Ho pochi dubbi riguardo ad alcuni aspetti dei nascenti corsi: saranno organizzati a puntino, saranno professionali, gli approfondimenti tecnici saranno ineccepibili, saprete tutto dei processi produttivi (specialmente quelli di stampo industriale). Imparerete tutto ma proprio tutto sui difetti... non perché le birre industriali ne siano piene, non sia mai, ma perché nei loro laboratori ci sono tasting panels dedicati esclusivamente a quello. E’ questo che cercate da un corso di degustazione? Anche... Io cerco, come dicevo sopra, autorevolezza e competenza. Doti che traspaiono un po’ a fatica dall’accattivante manifesto di presentazione che in verità sembra un po’ quelle pubblicità infarcite di slogan che vi lasciano sotto il parabrezza. Scopro che esistono le birre analcoliche... Voi concepireste soltanto (bere mi pare troppo) un vino analcolico? Ci sono tanti bei dati su come oramai la gente faccia a cazzotti per bere birra a tavola. Interessante. Ma i docenti li conoscete? Spiegheranno a dovere la prospettiva storica e le caratteristiche peculiari di tanti differenti prodotti? Chissà, un po’ di curriculum non guasterebbe, quantomeno visto che siamo al battesimo dei corsi. Qualche indizio sulla didattica AIS provo a ricavarlo da queste slides di Andrea Gori, che credo sia un pezzo grosso, con cui mi sono già amabilmente scontrato qualche tempo fa in fatto di birra e che ora potrebbe legittimamente volermi scannare (ahimè, in realtà non vuole affatto essere un attacco nei suoi confronti, è solo l’ignaro danno collaterale di una googlata). Stucchevole fare le pulci ad una presentazione per alcuni aspetti convincente, ma andiamo al cuore di quello che cerco io in un corso di degustazione. Slide 22: lo sapevate che ci sono trappiste a fermentazione spontanea? Eh?!? Ma per favore... E che la Pilsner Urquell non è l’esempio più comune in commercio di Bohemian Pilsner bensì una Light Pils (?!?). Categoria peraltro, quella delle Light Lager, codificata in USA per giudicare ai concorsi le più becere birracce industriali... Ve lo diranno che riso e mais in realtà si usano quasi sempre nei processi industriali solo perché costano meno e non per dare quella fantomatica “secchezza” alla birra di cui tanti millantatori parlano? E sorvoliamo sulle inafferrabili Birre d’Abbazia, categorizzazione che altro non indica se non quelle birre, delle tipologie più disparate, storicamente prodotte in Belgio da laici in stretta connessione con un monastero. Torniamo sul pezzo. Competenza ed autorevolezza, dicevamo. Io mi fido di chi, nella degustazione, da anni si documenta, studia, si confronta, viaggia, beve. Di chi ci mette la faccia e si sporca le mani. Di chi, nella produzione, sa raccontarmi della progettazione di una ricetta, dell’artigianato, della tradizione, delle mani sporche e degli stivali di gomma, e non soltanto dei moderni processi produttivi. Poi ovviamente vorrei anche dei tecnici per gli aspetti chimici, analitici e di servizio. Il giudizio resta sospeso, magari qualcuno di voi proverà e mi saprà dire. Ma state in campana, occhio al portafoglio e documentatevi bene prima prima di investire 300 euro per 5+1 lezioni, mi raccomando. Unionbirrai, gente che respira birra, quella vera, da una vita, chiede 270 euro per 12 lezioni (non so se mi spiego). MoBI (e lì ci metto la mano sul fuoco) ne chiede 130 per un corso introduttivo di 4 lezioni. Sconti per gli iscritti di entrambe le associazioni. ADB del mio arcinemico Paolo Polli, della quale conosco poco la didattica ma a cui riconosco una militanza oramai pluriennale, propone corsi a 280 euro per circa una dozzina di lezioni. E fuori dalle assocazioni, spesso con gli stessi autorevoli docenti, trovate Master Birra Slow Food e corsi organizzati da entità locali. Fate le vostre valutazioni. Ah, io ad un corso vorrei anche assaggiare qualche birra come dio comanda. C'è chi afferma di avere già visto la lista delle birre in degustazione e di “stare ancora tremando per la paura”. Un ultimo dubbio quindi mi attanaglia: ma alla voce “cosa fermenta nel mondo” citata nella locandina, zona Australia, serviranno una temibile Foster's oppure una più invitante Epic Brewing Company per raccontarvi dell'artigianato birrario locale in piena espansione? Disclaimer: se leggete questo post come la difesa di un mondo di tediosi soloni contro i parvenu dell’ultim’ora, sappiate che è esattamente così. E che in fondo sarebbe bastato riportare il solo illuminante ed obliquo commento dell’amico Andrea Turco per liquidare la questione con poche parole: “La cosa più triste – ed è un malcostume tutto italiano – è che un colosso che entra in un’attività non cerca sinergie con chi possiede il know-how più adeguato, ma con chi è un colosso come lui, anche se non specializzato nel settore.” Immagine: www.eventiintoscana.it

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