Stasera si stappa qualcosa di buono. La procedura è la stessa dei vinofili: vai in cantina, tentenni di fronte ad un tot di bottiglie, barcolli un po’ avanti e indietro indeciso, alla fine getti il cuore oltre l’ostacolo e ne afferri una. Beninteso: la profondità di etichette e di annate che vale la pena di accatastare non è certo la stessa. In genere la birra (disclaimer: per me il lambic non è birra) è un prodotto che va bevuto entro tempi ragionevoli, spesso brevi, in qualche caso particolari maturazioni in bottiglia possono giovare, ma si viaggia sull’ordine dei mesi e non è necessario dover attendere l’età pensionistica. Peraltro la cosa non mi dispiace affatto. Qualcosa da dimenticare nelle segrete comunque si trova, tranquilli, e a volte le sorprese possono essere piacevolissime.
La mia cantina non è più quella di una volta, perchè nemmeno i prezzi sono più quelli di una volta, ma qualcosina sotto un dito di polvere ci finisce sempre, volente o nolente. Sono manina nel profondo dell'animo e mi spiace separarmi dalle mie chicchette, mi rassicura sapere che sono ancora giù che mi aspettano. Piene. E poi mi permettono di fare lo sborone quando scatta la gara di cielolunghismo.
Individuato l’obiettivo, la Angel's Share di
Lost Abbey, resta un dilemma ancor più lancinante: stappo la 2008 o la rarissimerrima Gran Cru? Vince il catenaccio: vada per la 2008, che mi ravviverà il ricordo nell’attesa di ascendere un giorno all’olimpo della Gran Cru.
Un passo indietro. Ma che è Lost Abbey e Angel's Share?!? Comprendo lo sconforto e lo spaesamento, che è lo stesso che mi coglie ogni tanto leggendo i blog di vino più di frontiera (leggi: per aficionados belli spessi). Partiamo con alcuni assiomi. Forse non tutti sanno che negli Stati Uniti ci sono birrai dal talento cristallino, dei veri fuoriclasse. Forse non tutti sanno che gli Stati Uniti sono la fucina dell’innovazione birraria contemporanea, con tutte le controindicazioni e le derive del caso. In particolare, negli ultimi decenni gli States si sono imposti per due filoni che li hanno resi birrariamente celebri: la reinterpretazione all’americana dello stile IPA (e dei suoi parenti stretti, prima o poi vi racconterò qualcosa) e gli affinamenti in botte, non solo in chiave acida (leggi alcuni stili del Belgio tipo lambic o red flamish), ma anche per la maturazione di Barley Wine alcolici e di grande struttura.
Tomme Arthur, birraio di Lost Abbey e Port Brewing (due marchi, stesso birrificio), è stato uno dei grandi protagonisti di questa rivoluzione. Oggi, nel suo birrificio di San Marcos in California (una 40ina di km a nord di San Diego), sforna fra i migliori prodotti birrari che possiate reperire in California, quindi negli Stati Uniti, quindi nel nostro sistema solare. Accanto a cavalli di battaglia celebri fra gli appassionati, le birre iperluppolate della West Coast che a San Diego trovano la loro massima celebrazione, la sua produzione spazia praticamente su tutte le tradizioni birrarie europee. In particolare quella del Belgio, con il marchio Lost Abbey, gli ha dato grande prestigio. Sono però i suoi affinamenti in botte (bourbon, brandy, vino) ad averlo reso una beer-star. E non parliamo del solito esperimento a tiratura limitata in cui si cimentano sempre più spesso anche i microbirrifici italiani: qua i numeri sono quelli di una flotta, circa 800 barrique all’attivo.
Insomma, le aspettative sono alte, quanto l’esborso sostenuto a suo tempo. Stappo (il solito patetico tappo truciolato dentro alla gabbietta) e per prima cosa, come sempre, annuso l’ingresso della bottiglia prima di versare. Una polaroid, di solito è lo scatto migliore. Vinoso, molto vinoso. Troppo. E un po’ “sospetto”. Ahia... Verso. Piattissima, senza schiuma. La viscosità è imponente, quella di sempre. Al naso dice poco e dice male: emergono lattico e leggeri sentori non proprio gradevoli, di verdura marcia. In bocca la definitiva conferma: se n’è andata, il corpo sbranato quasi tutto dall’infezione lattica incontrollata, acidità molto forte, yogurt, astringenza smeriglia-papille, poi vabbé anche il fantasma di quello che fu, tostature, caramello e tutto il resto, che più che consolarti ti mettono ulteriore depressione. Il lavandino ringrazia.
Mettiamola così: un buon motivo per stappare con la
Angel's Share Gran Cru e tentare di rifarsi. Ma anche la paranoia di ritrovarsi pure questa defunta fra qualche anno... Da una selezione di sei botti particolarmente fortunate - le meno fortunate possono assomigliare alla precedente bottiglia... - la più vecchia delle quali una di brandy proveniente dalla prima cotta di Angel's Share e vecchia di 4 anni, un'altra in cui erano state aggiunte uve Cabernet Franc. Assemblata nel 2010. Qui si ragiona fin dalla prima snasata: voliamo alto, altissimo. Un accenno di schiuma che presto scompare ed una leggera gasatura affatto scontata. L’apporto del brandy è il più evidente, ma sotto fanno capolino anche i sentori più dolci, vanigliati e fumosi del bourbon, poi note tostate e di ciliegia sotto spirito, frutta secca, caramello, molto calore, il tutto a corredo di un'impronta cioccolatosa fondente, una torta con scorze d’arancia, ampia e profondissima. Nobile, dolcezza equilibrata da un amaro in bilico fra luppolo e tostature. Beverinità non certo da abusarne a secchiate, come è lecito attendersi, una "mappazza" quindi, ma in senso buono. Anche qui qualche nota lattica, ma stavolta tenuta al guinzaglio, che aiuta dando una punta di freschezza.
Disclaimer 2: il mondo della birra è un mondo libero, pure troppo. I confini possono saltare e alcune - alcune... - puzzette qualche volta - qualche volta... - possono diventare pregevoli. Quello che in genere viene considerato un difetto (es. acido lattico) in altri contesti può essere un pregio o una caratteristica propria di un determinato stile o processo produttivo. La piacevolezza va quindi contestualizzata nel corrispondente territorio gustativo e storico. E in alcuni casi solo un po' di esperienza personale può venirvi in aiuto.
Angel's Share base, con un po’ di impegno, forse la trovate. Gran Cru: scordatevelo. Temo inoltre che sul mercato ufficiale dei beer geeks possa costare cifre da Barolo Riserva...