Attualità

Ritratti | Nicoletta Bocca

pubblicata il 27.04.2013

Millenovecentonovantadue. Da Milano alle Langhe. Per amor del vino. Strada impervia e tortuosa, bella. Che l’ha lentamente e pazientemente portata a collezionare quei tanti e piccoli appezzamenti di terreno che oggi son i suoi, sparsi in nove coordinate diverse, dodici ettari di vigne dal gran bel comune denominatore. Dogliani. Filare per filare, “tutte sono state scelte per la forza e il carattere che avrebbero impresso ai vini, per la storia di chi le aveva lavorate e che lasciava memoria di sé nel luogo, come le radici della vite la lasciano nel terreno.” Lei, le vigne e Dogliani, dunque. Tre elementi che danno corpo e anima alla sua scelta di vita, la San Fereolo, e a quei vini vestiti dell’omonima etichetta. E “nel bene e nel male, del carattere di chi li ha aiutati a nascere." "Per questo non sono compiacenti e non cercano un’approvazione acritica.” Vini che “potrebbe capitarvi di trovare al primo impatto richiusi su loro stessi, un po’ solitari, scostanti, prima che diventino familiari e comincino a disvelare complessità e promesse di durata ed evoluzione nel tempo." "Compagni fedeli che riflettono un’impressione di vecchio Piemonte come terra di tesori nascosti da pudore, riservatezza e caparbia.” E sono tracce tangibili di una personalità che è donna, ma anche cauta virilità. “Sua Altitudine è questa parte di me più riflessiva, che vorrebbe essere più femminile, ma per ragioni di stato non lo può essere, per ragioni di vita che si è scelta, è costretta a condurre un regno e ha delle malinconie; il Capitano Bochaert è invece la parte più irrazionale, più vitale, più folle, che ci deve essere perchè sostiene Sua Altitudine (come effetivamente succedeva, Elisabetta I era una grande fautrice della pirateria, perchè era complementare al suo regno di ordine)". "E’ un vero dilemma per me questa cosa qua della virilità nei vini..." Vini che quindi sono introspezione ed espressione autentica del suo essere e di quel territorio, da sempre vocato alla produzione d’eccellenti rossi, che ha amato fin da piccola e che, poi, Sua Altitudine (con l'ovvio consenso del Capitano) ha scelto come suo reame. Vini naturalmente condotti ed accompagnati nella loro crescita ed evoluzione, che quindi non incontrano “lieviti selezionati o additivi enologici che potrebbero alterare la delicata espressione del terroir e il lavoro di metamorfosi operato dai lieviti indigeni”. Vini veri. “Non c’è posto per la menzogna e ogni errore porta conseguenze che si dovranno inevitabilmente affrontare, quindi bisogna essere pieni di attenzione, di amore ed onestà. E’ anche un lavoro che ti fa capire cosa è la natura, quanto dipendiamo da lei e quanto possiamo guidarla, anche senza essere arroganti. Ti bastano un po’ di esperienza e di osservazione per capire che se non la ascolti e non la rispetti stai remando contro te stesso. Ogni pianta, ogni vigneto, è come un individuo che si esprime nella coralità, in una rete di relazioni con le piante che la circondano, con il luogo in cui sono e persino con lo spazio in cui la terra è collocata.” Rispetto, protezione e diffusione di concetti buoni, ignoti ai più. Rivelazione, divulgazione di nuove e giuste convinzioni. Tutte operazioni per far ri-valutare. E stupire. Perchè il dolcetto, ad esempio, è “un vitigno ancora da scoprire, con dei margini notevoli di ampliamento espressivo. Per motivazioni storiche e per conoscenze di cantina quest’uva è stata a lungo considerata in grado di dar vita esclusivamente a vini semplici, fruttati e di espressività immediata. A Dogliani pensiamo invece che, lavorando per far nascere un vino di struttura, il dolcetto possa stupire per la sua capacità di tenuta nel tempo e per il suo carattere piemontese di austerità e di tannicità levigato dalla sua delicatezza." Duemilatredici. Data l'ambizione, ancora tante le tappe da percorrere. Ma i traguardi e le sfide di gran valore che Nicoletta Bocca ha tagliato e vinto lungo il suo bel percorso... son davvero piacevoli da bersi.

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