Polemica sul film su Anthony Bourdain: quelle frasi mai dette e ricreate con il deepfake
La voce del popolare chef, scomparso nel 2018, è stata ricreata con l’intelligenza artificiale: il regista di “Roadrunner” dice di aver avuto il permesso dalla famiglia, ma la seconda moglie e i critici americani lo hanno accusato di mentire
“Tu sei una persona di successo e io sono una persona di successo, ma mi domando se siamo felici”: una riflessione interessante e una gran bella frase che si sente dire allo chef Anthony Bourdain in “Roadrunner”, il film che ne ripercorre la vita a 3 anni dalla sua scomparsa. Una bella frase, che però Bourdain non ha mai detto.
L’ha scritta in una mail che ha spedito nel 2018 (l’anno in cui si è tolto la vita) a un amico, il pittore americano David Choe. Ma nel film, diretto dal regista Morgan Neville e composto in gran parte da spezzoni della vera vita di Bourdain, in cui lui stesso è protagonista e agisce e parla, gliela si sente dire per davvero. Con quella che era la sua voce. Com’è possibile?
È possibile grazie all’intelligenza artificiale e alla tecnica del deepfake: più sotto la spieghiamo nel dettaglio, qui basti dire che è un’evoluzione della tecnologia che ha permesso di vedere l’attrice Carrie Fisher in azione negli ultimi film di Guerre Stellari dopo la sua morte o di ringiovanire (con risultati discutibili) Robert De Niro e Joe Pesci nel film “The Irishman”. Si usano computer con capacità di calcolo molto elevate per rendere reale quello che reale non è.
I dubbi dell’ex moglie e dei critici
In “Roadrunner” succede tre volte, con tre frasi diverse: non sono mai state dette per davvero, magari sono state scritte oppure anche solo pensate, e però Bourdain le dice eccome, e le dice con la sua voce. È giusto che succeda? Secondo Ottavia Busia, ultima moglie del celebre chef, non è giusto. E pure secondo molti critici americani, non è giusto. Sono due facce dello stesso problema: in un’intervista a Gq (è questa), il regista ha ammesso l’uso dell’IA per dare credibilità ad alcune scene, dicendo sostanzialmente di “aver avuto il via libera dall’esecutore testamentario e dall’ex moglie di Anthony”.
Qui c’è il primo problema, quello della trasparenza (quella che gli americani chiamano “disclosure”): molti critici si sono domandati se sia lecito che in un film che è a tutti gli effetti un documentario che ricostruisce la vita vera di un personaggio famoso, ci siano cose mai accadute. Mai dette, soprattutto. E anche se sia giusto che questo dettaglio, che tanto un dettaglio non è, sia stato tenuto nascosto praticamente sino all’uscita del film. E sia in parte tenuto nascosto tutt’ora: al momento in cui scriviamo, delle 3 frasi ricreate con l’uso dell’intelligenza artificiale ne è stata svelata solo una, quella citata all’inizio di questo testo.
Poi c’è il secondo problema, forse più grave, perché dopo l’articolo di Gq, Busia ha detto chiaramente via Twitter di non aver dato alcuna autorizzazione all’uso della tecnica deepfake per riprodurre la voce di Bourdain: “Non sono stata certo io a dire che a Tony questa cosa sarebbe andata bene”, ha cinguettato.
Negli Stati Uniti, le due questioni ne hanno sollevata una terza, che è la somma delle due e di cui hanno scritto testate autorevoli come Washington Post e New Yorker: sino a dove è lecito spingersi per creare la storia che si vuole raccontare? Soprattutto nel mondo del cinema: se la tecnologia permette di fare una cosa, la si può fare davvero? È etico, tutto questo? O è in qualche modo una forma di inganno sia per lo spettatore sia per i protagonisti della vicenda?
Che cosa sono i deepfake e come funzionano
Sono tutte domande lecite, che dovremmo affrontare e che stiamo già affrontando, non solo nel dorato mondo di Hollywood: da qualche anno, i computer dotati di intelligenza artificiale sono in grado di creare riproduzioni di persone vere, dopo averle “imparate” attingendo a database sconfinati di voci ed espressioni. Nel caso di Bourdain, il computer è stato allenato con circa 100mila ore di clip dello chef ripreso in varie situazioni e vari momenti della sua vita, sino a quando è stato in grado di fargli dire “tu sei una persona di successo e io sono una persona di successo, ma mi domando se siamo felici” con la voce e la faccia che avrebbe avuto lui.
Per capirci: sulla tecnica dei deepfake (falsi “approfonditi”, in inglese) si basano app molto popolari come FaceApp, quella che qualche estate fa ci permetteva di vedere come saremo quando diventeremo vecchi. Ed è fatto così anche il profilo del finto Tom Cruise che raccoglie milioni di consensi su TikTok, oppure le imitazioni incredibilmente realistiche di altri personaggi pubblici, rappresentanti politici, imprenditori: nel tempo, sono stati vittime di deepfake i presidenti americani Obama e Biden, il russo Putin, Matteo Renzi e molte, moltissime attrici. Abbiamo scritto “vittime” perché è evidente che se si è in grado di imitare alla perfezione una persona, si è anche in grado di farle dire e fare quello che si vuole. Mettendola anche in situazioni potenzialmente compromettenti e imbarazzanti.
Perché Asia Argento non è in “Roadrunner”?
Questo non è ovviamente il caso di Bourdain, ma gli esempi sono utili per capire che cosa si può fare con questa tecnologia e anche quanto sia importante porsi domande su quanto in là sia lecito spingersi col suo utilizzo. Quello che è invece un caso legato al film, di cui si parla moltissimo in Italia e in misura minore pure negli Usa, ha a che fare con Asia Argento.
L’attrice è stata l’ultima compagna del celebre chef (dopo Busia) ed è stata fra le persone che lui ha avuto e voluto accanto praticamente sino all’ultimo. Eppure nel film non compare praticamente mai, se non per pochissimi secondi. Perché? Il regista lo ha in qualche modo spiegato a Vulture: “Ho preferito non sentirla perché sapevo già quello che avrebbe detto e ho pensato che non avrebbe aggiunto molto alla storia - ha dichiarato Neville - Inoltre, credo che sentirla, sentire la sua versione dei fatti, avrebbe causato dolore in molte persone. E non era quello che volevo”.
Da parte sua, l’attrice non si sarebbe mai fatta viva con il regista (“non mi ha mai cercato”, ha detto lui) e nemmeno ha detto la sua attraverso i social network nei giorni precedenti all’uscita del film o successivi alle polemiche: su Instagram, l’unico post recente che riguarda Anthony Bourdain risale allo scorso 25 giugno, quando sarebbe stato il suo compleanno.
I 5 posti dove mangiava Bourdain
Polemiche a parte, e visto che al momento “Roadrunner” non è visibile in Italia, un modo per provare a conoscere meglio il celebre chef è mangiare dove mangiava lui: di recente, il quotidiano britannico Guardian ha ripubblicato un pezzo sui 5 ristoranti che preferiva nel mondo, che elenchiamo qui di seguito.
Happy Paradise a Hong Kong, definita “la vera città del cibo”, dove sceglieva spesso i gamberi saltati in padella con zucca, le uova di gambero essiccate, il piccione affumicato e il pollo al vino;
Paul Bocuse a Lione: nel ristorante del celebre chef francese (qui un suo ritratto), Bourdain apprezzava soprattutto la zuppa di tartufo nero, il branzino cotto in crosta e la leggendaria lepre “à la royale”;
Bún Bò Huế Kim Chau a Huế (in Vietnam), di cui amava la zuppa, un mix di gamberi, manzo, maiale, spaghetti di riso e gnocchi di polpa di granchio accompagnati da numerose spezie;
Ganbara a San Sebastián, ritenuta “la miglliore città in Europa in cui mangiare”: fra i tanti pintxos, i tipici stuzzichini spagnoli, preferiva quelli con funghi caldi, foie gras e tuorlo d'uovo crudo;
Pastrami Queen a New York, dove servono un piatto tipico dello street food, qui in una versione che secondo Bourdain sarebbe “se non la migliore, sicuramente fra le migliori”.
Immagine di apertura Roadrunner a film about Anthony Bourdain
Articolo di Emanuele Capone
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