Attualità

Sacripante, mormorò non senza una certa sorpresa

pubblicata il 25.08.2009

Rozzangeles, la quarta settimana d'agosto, è una taiga parzialmente cementificata dove ci si può imbattere in sporadiche forme di vita. Almeno finchè c'è luce. Dopo il tramonto Rozzangeles diventa un immenso campo sportivo dove i ciclopi giuocano ad hockey usando un Ufo come dischetto. Ovunque spuntano raggi di luminescenze cosmiche, dal vago sapore bluastro, indicando la via a infrequenti pellegrini. L'uomo, dopo essersi nutrito per giorni di bacche e radici amare, entra in un cupo locale frequentato da nerboruti operai stradali plavi in libera uscita, cinesi arrichitisi con il commercio di giocattoli al piombo, sestetti d'uomini d'affari che discutono di somme risibili ad alta voce, grosse comitive di ragazze appena allunate nella maggiore età, viaggiatori di commercio con i capelli più lunghi del solito intrisi nella cingomma. Seduto rigidamente nel tavolo da uno, delle esatte dimensioni di un foglio uso bollo, scorre rapidamente la Minuta delle Vivande, ascoltando l'onda montante della sua depressione crescere fino alla vertigine. Ordina: filetto. Il cameriere, una rara specie che si muove scivolando sulla massicciata  a velocità leggermente subsonica, trova il tempo di spifferargli che no, l'ultimo filetto l'ha dato ai signori cinesi, e fa le facce, e se il signore si contenta, c'è tagliata. Tagliata come vuole eh, dice, pepe e rucola, pepe e rosmarino, rosmarino e rucola, rucola e rosmarino e pepe. L'uomo bofonchia pepe e rosmarino, e il cameriere lo sta già apostrofando: cottura media, immagino. L'uomo in effetti è un po' intimorito dalla piega degli eventi, ma trova l'animo di inserirsi in aperto, virile contraddittorio: veramente, veramente, se fosse possibile, se non chiedo troppo, al cuoco piacendo la preferirei al sangue. Al sangue, dice, e letteralmente scompare tornando con una specie di pita friabile cosparsa di rosmarino e tracce di materia viscosa, forse olio. L'uomo può finalmente guardarsi attorno, e rilevare un ambiente di una bruttezza - potremmo dire, noi qui comodamente seduti sul divano bordò - metafisica. Anzi, più esattamente, patafisica. Quella bruttezza che non smette mai di essere brutta, nemmeno quando diventa seducente. Una cosa più alla Ben Turpin più che alla Carlo delle Piane, per intenderci. Passata la prima settimana il bipede metà bianco e metà nero gli recapita il piatto, dove sono assiemate alcune fette di cartone ondulato, leggermente tinto sui bordi con l'inchiostro di china seppia per richiamare alla mente l'effetto di Maillard. Il centro è passato frettolosamente con l'evidenziatore rosa, e tutto è stato posto sotto una pressa da venti chili per rimanere bello teso. Sopra una nevicata di foglie di rosmarino, ma secche, e pepe nero pestato. A fianco un piatto con i pomodorini ciliegia: tagliati tutti esattamente e solo a metà. Il signore può condirli a piacere, dice, e gli allunga l'oliera che contiene il liquido viscoso di cui aveva temuto l'uso, probabilmente una sostanza simile all'olio d'oliva ma caratterizzata dal profumo di lubrificante al silicone mischiato con i ritagli di Das quando rimangono lì, e dal sapore più orientato alla spremuta di lardo irrancidito. Però lievemente, appena percepibile. Il cartone ondulato, ammorbidito dal lubrificante, acquisisce proprio un nitido sapore di cartone ondulato ammorbidito nel lubrificante, a tratti sovrastato dall'eccesso di pepe. La consistenza è quella. Stoicamente l'uomo finisce il cartone, la pita, i mezzi pomidoro e ordina un caffè. Mesi dopo paga ed esce, mentre i cinesi, le ragazze egli uomini d'affari continuano ad ordinare cozze al limone, carpacci di pesce spada, salmone all'arancio. Guarda la taiga di Rozzangeles pronto a scrivere parole definitive con la rassegnata disperazione del Celine di Morte a credito e la disperata rassegnazione dell'Ellroy di I miei luoghi oscuri. Sale a bordo della tedesca larga di fianchi, cullato dallo scalpiccio del motore a ciclo Diesel.

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