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Sambuco: la casa delle fate

pubblicata il 05.06.2013

Questo è il periodo bianco dei boschi. Passata la sbornia da fiori di ciliegio, impegnato al momento a fornirci i suoi frutti, ci sono due piante che si contendono il colpo d'occhio più suggestivo tra il verde ormai intenso delle foglie: robinia e sambuco. La prima è quello che tutti sono ormai abituati a chiamare acacia, appellativo derivato dal suo nome scientifico: Robinia pseudoacacia. Pianta colonizzatrice la robinia, importata e invasiva, dai mille pregi e dai mille difetti, che gastronomicamte possiamo ricordare per il biondo miele che ci regala con l'aiuto delle api, e per le frittelle fatte con i grappoli dei fiori. L'altra è il sambuco, impossibile da confondere con la sua compagna di fioritura, a cui l'accomuna solo il colore bianco dei fiori. Si tratta normalmente di un piccolo arbusto, che arriva al massimo ai 5 metri di altezza, dall'aspetto cespuglioso dato dai numerosi fusti che si sviluppano a partire dal terreno. Se trova le condizioni giuste e assenza di ombreggiatura è però in grado di arrivare ai 9 metri e trasformarsi in un piccolo alberello. La famiglia è quella delle Caprifoliaceae, e il nome scientifico è molto simile a quello comune: Sambucus nigra. È un albero antico, diffuso in tutta Europa, legato a leggende e superstizioni, e molto utilizzato in erboristeria e nella medicina popolare. Le sue tracce sono molto antiche, tanto da venire citato più volte anche nella Bibbia. Grande rispetto gli veniva riconosciuto dal popolo dei Germani, che lo chiamavano "albero di Helda", dal nome di una fata buona che si diceva vivesse nei sambucheti situati nelle vicinanze di laghi e specchi d'acqua. E gli uomini che passavano vicino a un sambuco erano soliti levarsi il cappello in segno di riverenza. Il legno del tronco viene utilizzato per lavori di tornitura e per fare piccoli oggetti. Ma è nel legno dei giovani rami che si concentra l'interesse dei più piccoli. Sono infatti molto facili da scavare e da essi si possono facilmente ricavare cerbottane e flauti artigianali. I più grandi invece ne apprezzano gli utilizzi casalinghi, come la realizzazione di rudimentali ma efficenti prolunghe per ferri da calze, quelli dalla doppia punta per intenderci. Si tratta di una pianta che vive molto bene e tranquillamente nel sottobosco, sotto copertura, ed è una fonte molto importante di cibo per tutti gli uccelli che popolano i boschi e le foreste. I bianchi fiori si trasformano infatti ben presto in bacche di colore blu nerastro, portate da cartatteristici peduncoli rossi, molto amate dai volatili, ma che si prestano bene anche per la produzione di confetture, distillati e liquori. L'avvertenza è quella di consumarli solo dopo cottura. Ma tutta la pianta si presta a diversi utilizzi. La parte sotto la corteccia veniva utilizzata per preparare unguenti lenitivi nei confronti delle ustioni, dalla corteccia si ottiene una tintura nera, dalle foglie una verde e dai fiori una blu o lilla. Vista la stagione però risulta più interessante parlare dei fiori, dal profumo dolce e delicato, riuniti in gruppi molto numerosi in infiorescenze ad ombrello. Siamo, almeno per le latitudini nord, nel periodo giusto per effettuare la raccolta e utilizzare il bottino in cucina. Possono entrare in torte, frittate, oppure essere fritti per realizzare un dessert diverso dal solito. Ma l'occasione è buona anche per produrre lo sciroppo di fiori di sambuco, ottimo dissetante per l'estate, dopo opportuna diluzione con acqua, normalmente in proporzione 1 a 5. La ricetta è molto soggettiva e cambia di famiglia in famiglia, ma le basi sono sempre le stesse: acqua, zucchero, fiori di sambuco e limone. La ricetta che uso io, passatami da un'amica trentina, prevede l'utilizzo di 25 infiorescenze, 6 limoni al naturale, tre litri d'aqua, tre chili di zucchero e 50 grammi di acido citrico (sostituibile volendo con aceto di mele). I fiori vanno lavati velocemente in acqua freddi e posti in un recipiente che si possa chiudere, assieme ai limoni tagliati a pezzi e un paio di litri di acqua fatta bollire e in cui sia stato sciolto un chilo di zucchero. Il tutto si lascia riposare per 3-5 giorni in luogo fresco e buio mescolando un paio di volte al giorno. Passato questo tempo si strizzano bene i limoni e si filtra tutto il liquido, a cui va aggiunto un altro litro d'acqua bollita in cui avremo sciolto i rimanenti 2 chili di zucchero e l'acido citrico. Lo sciroppo va poi conservato al fresco in piccole bottigliette, che, una volta aperte, vanno conservate in frigorifero e consumate in breve tempo. C'è un po' di lavoro, ma vi garantirete una fresca estate. Immagine: Acta Plantarum

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