Attualità

Se il sale non scende

pubblicata il 13.02.2013

Il sale non scende Anche nel 2013 tornerà la Settimana Mondiale per la Riduzione del Consumo di Sale (dall’11 al 17 marzo 2013).  L’ iniziativa come in passato è proposta dal WASH (World Action on Salt and Health). Numerosi i paesi che hanno aderito: Australia, Bangladesh, Botswana, Bulgaria, Canada, Caraibi, Cile, Cuba, Dubai, Egitto, Finlandia Georgia, India, Italia, Kenia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Nigeria, Pakistan, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Svezia, Turchia, UK e USA. Scopo delle iniziative divulgative è la riduzione del consumo di sale nei pasti fuori casa e a livello domestico. Perché si pone attenzione al sale, un ingrediente usato fin dall’antichità per conservare i cibi e dar loro sapore? Sappiamo che un consumo eccessivo di sale (cloruro di sodio) è considerato uno dei principali fattori che predispone all’ipertensione arteriosa, al contrario il potassio è un sale minerale che svolge un ruolo protettivo nella genesi della malattia ed è stato dimostrato che un aumento del suo apporto dietetico (ad esempio aumentando l’apporto in frutta e ortaggi)  è in grado di ridurre sia la pressione arteriosa che il consumo di farmaci anti-ipertensivi nei soggetti affetti da ipertensione. Quali sono le fonti principali di sale? Quello naturalmente presente negli alimenti rappresenta circa il 15%. Quello aggiunto durante i processi di conservazione o produzione industriale è circa il 50%.  Infine quello aggiunto durante la preparazione domestica o a tavola: circa 35%.  Tra i cibi piu’ ricchi di sale ci sono alcuni alimenti (piatti pronti, sostituti del pane, snacks salati, cibi in scatola) di cui si è registrato un notevole aumento dei consumi negli ultimi decenni. Che consumi si riscontrano negli italiani? Nella revisione delle “Linee guida per una corretta alimentazione (2003)”, si riportava che gli italiani adulti assumevano ogni giorno in media sui 10 g di sale (che equivalgono a 4 g di sodio). Questa quantità è superiore a quello che è l’apporto raccomandato di sale che nell’adulto non dovrebbe superare 6g (circa 2,4g di sodio). Valutazioni piu’ recenti (2012) nell’ambito del progetto Minisal-Gircsi, in 15 Regioni italiane su 1519 uomini e 1450 donne tra i 35 e i 79 anni, hanno confermato le cifre. Il consumo medio giornaliero tra la popolazione adulta italiana è  risultato di 10,9 grammi per gli uomini e 8,6 g per le donne, superiore quindi alla media raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Dall’analisi dell’escrezione di sodio nelle urine è emerso che solo il 4% degli uomini e il 13% delle donne  rientravano nei livelli raccomandati. Per quanto riguarda i consumi di sodio,  è emersa differenza tra Nord e Sud, con valori minori al Nord e maggiori al Sud. Fenomeno in linea, secondo lo studio, con la distribuzione riscontrata dell’obesità e dell’inattività fisica, e con i risultati di numerosi Paesi industrializzati. Tra le iniziative istituzionali, anche in Italia, è partita una iniziativa tra il ministero della Salute e l’Associazione della panificazione artigianale e industriale finalizzato alla riduzione del 15% in 4 anni del contenuto di sale nel pane Il sodio e il sale nelle etichette alimentari. Che livelli di sodio troviamo in alcuni prodotti in vendita in Italia? Un rapido sguardo ai prodotti sugli scaffali e ci accorgiamo che il contenuto in sodio molto spesso non è indicato nelle etichette nutrizionali. E quando viene indicato, come interpretare i dati riportati? quanti consumatori sanno leggerle? Quando possiamo affermare che il sale è elevato in un prodotto? Sulla base di alcuni studi, la Food Commission ha fissato dei limiti affermando che: - Valori uguali o superiori a 0,5 grammi di sodio/100g in un alimento sono considerati livelli elevati di sale (corrisponde a 1,25 g di sale); - 0,1g di sodio /100g è considerato un basso livello di sodio (corrisponde a 0,25 g di sale). Lo slogan del 2013 sarà “Less Salt Please”, con l’obiettivo di coinvolgere tutti i cittadini, addetti ai lavori, chef, nella riduzione del sale senza comunque compromettere le qualità organolettiche dei cibi.  

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