Attualità

Sorgente del vino Live 2011: Agazzano state of mind

pubblicata il 11.03.2011

Se dovessi scegliere una sigla iniziale per aprire il mio racconto della manifestazione Sorgente del vino Live 2011 non avrei dubbi, e metterei a tutto volume il ritornello di Battiato in cui il maestro cantava “No time no space another race of vibrations”. Questo perché non riesco a togliermi dalla mente quello che un amico mi ha detto mentre passeggiavamo col nostro bicchiere nel loggiato della rocca del Castello di Agazzano ormai quasi al tramonto: “sono convinto che se io vivessi in un castello diventerei immortale”. Perché vivere in un castello è come fermare il tempo. Già, il tempo. Da qualche settimana è un po’ una fissazione per me, dato che le riflessioni sul tempo, sul suo essere imprendibile e sui modi per rallentarlo almeno attraverso piccoli gesti sono stati il buon proposito principale del mio inizio anno. E facendoci caso in effetti, non c’è nulla di meglio di un castello immerso nella campagna della val Tidone per una manifestazione sui vini naturali che sia anche un buen ritiro “contro il logorio della vita moderna” [cit.] Riflettevo sull’inconscio diverso modo di porre il mio stato d’animo domenica mattina alla partenza alquanto mattiniera da Milano. I dettagli contano: jeans, scarpe da ginnastica, un’occhiata veloce al sito internet di Sorgente del vino giusto prima di uscire, per una rapida rievocazione mentale dei produttori presenti, e un sorriso nel vedere spuntare fuori dalla finestra una bella giornata di sole, il viaggio in auto senza fretta con la sosta all’autogrill per il caffè come quando si è sulla strada della vacanza. Mi viene in mente il diametralmente opposto atteggiamento di quando vado a Vinitaly. i dettagli contano: tailleur pantalone scuro, tacchi (nonostante si cammini molto di più), un “piano di battaglia” studiato nei minimi dettagli, e prevengo la chiave di lettura del meglio o peggio: la chiave è la disposizione mentale. Sarà l’effetto castello, ma qui il vino diventa una piacevole e lenta scoperta e anche la mente a mio avviso è più predisposta ad essere ricettiva nei confronti di racconti e storie. “Agazzano state of mind” è un non luogo e un non tempo. E’ entrare alle 10.30 e aver la sensazione che l’orologio si sia smaterializzato e accorgersene solo quando il sole tramonta. E’ il cellulare che serve come un GPS solo a dare il riferimento istantaneo della posizione agli amici che arrivano dopo. Agazzano è senza percorsi regionali, un dedalo tavolate ravvicinate in cui il produttore friulano è andato un attimo a prendere un caffè e il compagno di banco sardo ti da una fetta di pecorino nell’attesa che ritorni, elargendo elogi su quanto gli è piaciuto il sauvignon del vicino. Di gente ce n’è, eccome, ma senza la smania da assaggio e fuga al produttore successivo e anche le piccole resse ai banchetti sembrano più composte. Così succede che ti ritrovi quasi rapita a sfogliare le fotografie (su carta kodak) dei vigneti salernitani secolari a piede franco di Monte di Grazia, mentre lui ti spiega che i filari dell’uva bianca (bianca tenera, ginestra e pepella) son mischiati a quelli di uva nera (tintore e un po’ di piedirosso e moscio) perché al tempo a si usava così. E l’assaggio del Bianco IGT crea un varco alla Star Treck, e ti ritrovi a Tramonti, immersa in un vigneto a respirare fieno, e fiori di campo mentre arriva la brezza del mare che ti sala le labbra, lime al sorso con lo zucchero lieve solo dell’ananas, e non vorresti smettere di bere (che io non vorrei ammetterlo, ma poi mi sono ricordata che l’amico Stralcidivite di Alfonso Arpino me ne aveva parlato). E se non posso raccontare tutti gli assaggi perchè tutti meriterebbero spazio e tempo, sia tra i “favourites” che sono già nel cuore da tempo, sia tra le “new entries”, resto a sud per due righe su un’altra scoperta di questa edizione: il MaQuè di Marco Sferlazzo - Porta del Vento. Questo vino parla la lingua delle mie radici, tanto che la produttrice, spiazzata dal mio accentaccio lombardo non si capacitava che io avessi colto il senso siciliano del nome. Si legge “ma-cu-è” e significa “ma chi è”: 70:30 di Nero d’avola e Perricone, vendemmia 2009. Ma il fatto è che siamo a Camporeale, zona Palermo, e non sulla torrida spiaggia di Pachino, e l’altitudine, l’influsso climatico della Conca d’oro e il riparo dei monti che la circondano fanno la differenza. Il lampone nel bicchiere ha note lievemente balsamiche e fresche, ci sono spuntature di ginepro e pepe forse per l’anno di botte di rovere da 25hl, il finale è persistente di fico d’india maturo e nocciola fresca, sorretto da tannini docili e sapidità elegante. Agazzano state of mind. Seduta sul bordo arrotondato di un vaso di fiori di cemento vicino all’ingresso, nel calice ancora un fondo dell’ultimo assaggio, vedo spuntare uno spicchio di luna e accendersi le stelle. Dopotutto è domenica ancora per qualche ora.

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