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Sport Estremi | Degustare le basi per il Franciacorta <em>chez</em> il Mosnel

pubblicata il 06.10.2010

Sabato 25 settembre a Camignone, contrada Barboglio, tra gli squarci di una coperta lanosa di nuvole color panna montata del giorno prima le legioni dei vinòfili si sono date appuntamento per la settima edizione di Vinix Live!, una manifestazione quasi-spontanea d'incontro, discussione e degustazione nata dalla fervida mente di Filippo Ronco. Sulle motivazioni e scaturigini dell'evento potrete trovare una paio di terabit di informazioni in rete, quindi inutile dilavarsi. L'indomita Lucia Barzanò ha collezionato una bella serie di  assaggi sotto la barchessa sopraelevata - che con questo tempo non si sa mai, tra cui qualche produttore che cerca una via alternativa per il Franciacorta: senza stravolgerne l'essenza, ma cercando di contrastare il luogo comune che vede questa denominazione di grande successo ma priva di grandi sfumature, un po' appiattita sul microcosmo aperitivo-e-pesciolino. In effetti qualche calice inconsueto si è visto, come quelli memorabili per l'impressionante forza e chiarezza di Camossi  e quelli fervidi e di convinta misura di Gatti. In programma la vinopedalata nei vigneti, annullata per avverse condizioni atmosferiche, e la degustazione delle basi, un'esperienza che almeno una volta chiunque s'appassioni di Metodo Classico dovrebbe fare. Guidati dalla ferma voce di Flavio Polenghi, l'enologo dell'azienda, ecco tre basi "pure" dalla vendemmia 2010: lo Chardonnay, il Pinot Bianco, e il Pinot Nero vinificato in rosa. Sono prelevate dalle vasche tel quel, apposta per far comprendere da quale siderale distanza l'enologo deve stimare, vedere e prevedere l'evoluzione del vino. Una specie di viaggio in un tunnel male illuminato di notte ed a fari spenti, con il solo ausilio di una mappa dell'anno scorso...
Ecco lo Chardonnay. Tutti i campioni sono torbidi: questo bicchiere risulta latteo, ed ha descrittori davvero insoliti. Impatta al naso come un medio lambic, con l'acido svolazzante, pungente, anche se non abbastanza da coprire il frutto. Come affondare il naso in un vasetto di yoghurt naturale aromatizzato banana. I descrittori si sprecano, anche se poi il tutto risulta in fondo: ordinato. L'assaggio è ancora più impervio, con il corpo del vino sotterrato sotto la forza sprigionata dalla fermentazione malica (dice l'enologo) ed ovviamente ancora bel lontano dall'aver trovato un proprio stato di quiete.Il Pinot Bianco - se possibile - è ancora più scostante: nella tipica ritrosìa del tipo, avverti i caratteri delicati e la sottigliezza del frutto. Agrumi, se vuoi, in frutto e in buccia. L'assaggio sta nel mezzo tra il succo di pompelmo e l'aranciata amara. Composto, per quello che si può percepire a questo stadio, e di certo inespresso, ma ben diverso dalla generosa opulenza dello Chardonnay.Il Pinot Nero è il più acerbo dei vini, e non potrebbe essere diversamente. Meno di un mese dalla vinificazione è di gran lunga troppo poco per comprendere qualcosa di questo fragile frutto, qui aggravato di un breve riposo sulle bucce. Naso quasi inespressivo, petroso, e assaggio davvero ardito. Tanta acidità e compostezza ancora tutta da ritrovare.
Una prova sul campo, assai empirica ma convincente di quello che accadrà nelle cuvèe: l'enologo consiglia di assemblare le basi, a occhio, 60% Chardonnay, 30% P.Bianco e 10% P.Nero. Ovviamente nessuna pretesa di precisione, ma sorprenderà sapere che nel bicchiere miscelato rusticamente i caratteri dei vini si compongono, molti apsetti critici trovano una disposizione più lineare. Già ora il bicchiere diviene plausibile, dà la sensazione di quale direzione dovrà prendere per diventare Brut.L'assaggio finale del Brut de il Mosnel comunica in chiaro la stupefacente distanza tra le basi e il risultato finale: un po' come confrontare un blocco di marmo statuario e la scultura dopo che l'artista l'ha lavorata.

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