Attualità

Sport estremi | La sottile linea del disgusto

pubblicata il 19.09.2009

Goswami era un buon diavolo. Guidava il pulmino noleggiato per girare a  mio modo il Rajastan: in quel tempo in India non era dato di guidare la macchina da sè, e il prezzo dell'auto era comprensivo di autista. Goswami era un buon diavolo, e parlava un passabile inglese: non dico amici, ma in due settimane si era creato un clima cameratesco. Rideva del suo sorriso bislacco, miracolosamente riparmiato dal betel, quando tentavo di assaggiare i pestilenziali peperoni verdi che costituivano la sua colazione: tanto piccanti da farmi luccicare gli occhi. Ricordo perfettamente la sua espressione quando gli dissi che noi si mangiava gli asini. Non ci credeva. Donkey? e faceva il gesto delle orecchie. Già lo avevo tramortito con la notizia dei conigli e dei cavalli, ma ai ciucci non resse. Doveva essere più o meno la faccia mia quando un altro autista - di cui non ricordo il nome - incluso nella macchina in Myanmar mi condusse al mercato di Pagu per farmi apprezzare le specialità locali. Cavallette caramellate, no grazie. O il ristorante di rettili a Surakarta, dipinti con mano alquanto naive sui muri della casa: grossi cobra arrotolati su se stessi. Una specialità. E i cuy, roditori simili a cavie che a Banos - Ecuador - arrostiscono allegramente sullo spiede? Eppure a leggere la Repubblica, che a sua volta legge Virtualtourist, pare che ci sia ben di peggio: inimmaginabile il festino di polpi vivi che appassiona i coreani, le larve di falena croccanti o il mortale Lutefisk. Ma la cosa che fa strano è che per l'altra metà del mondo, gli Skifidol siamo noi, con asini e piccioni nel tegame... Gastronomia baluardo del relativismo?

Condividi

LEGGI ANCHE