Attualità

Sulla lingua del vino presente

pubblicata il 16.04.2013

Ogni settore ha il suo vocabolario, spesso composto di termini inaccessibili e incomprensibili ai non addetti ai lavori. Provate a parlare di sinterizzazione a chi si occupa di metallurgia e vi capirà al volo. Parlarne invece al circolo del cucito potrebbe provocare la comparsa di espressioni sufficientemente attonite da farvi capire che è meglio cambiare discorso. Perché le parole sono importanti e fanno la differenza fra una comunicazione efficace e una fallimentare. Non fa eccezione il mondo del vino, legato a liturgie e terminologie che spesso scadono nel ridicolo, come si diverte a far presente Antonio Albanese nei suoi spettacoli. La prova ci viene ancora una volta dal mondo anglosassone, dove One Poll ha condotto un'indagine su 1000 consumatori di vino. Come riportato dal Telegraph, a queste mille persone sono state sottoposte 43 diverse descrizioni di vini, presi da brochure, etichette e recensioni su riviste e siti internet dedicati. Gli intervistatati dovevano scegliere i termini più comprensibili per far capire la natura di un vino, oltre che di indicare i meno utili. Com'è andata? Più della metà, esattamente il 55%, degli appassionati di vino coinvolti nella ricerca ha dichiarato che quanto letto non li aiutava assolutamente a farsi un'idea degli aromi e profumi del vino descritto. Fra i termini meno utili sono state segnalati scheletro, vecchie ossa, nervoso, pietra bagnata, siepi primaverili, persistente, lingua sculacciata. Ma anche parole molto più comuni da ritrovare nelle descrizioni del vino: vegetale, note di cuoio, pesante, furbo, mineralità. Molto più utili sono state ritenute parole semplici, come fresco e piccante. E se, come dicevamo prima, più della metà degli intervistati ha affermato che le descrizioni lette non li hanno aiutati a capire il gusto del vino, solo un terzo (33,7%) ha dichiarato di averle trovate utili, mentre quasi la metà (45%) ritiene il linguaggio utilizzato nel mondo del vino pomposo. Peraltro quasi due terzi degli intervistati ha anche detto di non aver riscontrato nei vini assaggiati gli stessi sentori dichiarati in etichetta. A dispetto del pragmatismo che caratterizza il mondo anglosassone, il linguaggio del vino pare aver dunque preso nel tempo una deriva lontana dalle esigenze dell'appassionato. Chissà cosa ne pensa il consumatore italiano.

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