Attualità

Un'aranciata aranciosa finalmente

pubblicata il 08.11.2012

Le parole pesano. Pesano pure sull'economia di un paese, di un comparto. E anche sulla salute. Son bastate 52 parole su un decreto legge a fare una piccola rivoluzione. Cos'è successo? Torniamo al 1959, quando un decreto del Presidente della Repubblica - allora era Giovanni Gronchi - stabilisce che "Le bibite analcooliche, vendute con il nome di uno (sic) o piu' frutta a succo (quali l'uva, l'arancio, il limone, il mandarino, la ciliegia, il lampone, la pesca e simili) o recanti denominazioni che a tali frutta si richiamino, debbono essere preparate con il succo naturale concentrato o liofilizzato o sciroppato del frutto o delle frutta di cui alla denominazione". E stabilisce pure la percentuale minima di questo succo naturale: il 12%. Per generazioni abbiamo bevuto aranciate con il 12% di succo d'arancia, tranne la breve parentesi in cui la Recoaro mise in commercio l'Aranciatissima, che esaltava il suo contenuto del ben 14%. Potenza del marketing. Oggi il ministro Balduzzi ha deciso di osare ancora di più, e nel decreto legge che porta il suo nome ha deciso di innalzare questa soglia di sbarramento al 20%. Visto così non pare molto, ma questo aumento dell'8% nasconde numeri ben più importanti. Le stime infatti, visti i volumi attuali di consumo delle bibite gassate a base di arancia, parlano di 200 milioni di kg di agrumi in più che verranno bevuti dagli italiani. A parte i proclami sul miglioramento dello stato di salute che porterà questa decisione - discutibili - la parte più interessante passa attraverso il comparto agricolo. La legge infatti potrebbe salvare circa diecimila ettari di agrumeti fra Calabria e Sicilia. Sempre che i produttori decidano di comprare arance italiane. Foto da Flickr

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