Attualità

Vignaiuoli | Arianna Occhipinti

pubblicata il 19.04.2013

Si muove a scatti improvvisi. Appoggia i passi uno dopo l'altro come se trattasse la forza di gravità con eccessiva confidenza, da pari a pari. La seguo nei vasti, bellissimi ambienti del palmento di Fossa di Lupo: tra poco imparerò cos'è un palmento, per ora mi chiedo cosa siano quei precipizi spalancati come bocche fameliche proprio in mezzo alla sala. Mi ricordano le rustiche ma funzionali architetture delle cantine ancestrali di Santorini: guardo giù. Bottiglie. Ho perso l'attimo, devo rincorrerla: è già scesa nella grande cucina. Traffica con un paio di bicchieri. Si aggira tra le pietre con le sopracciglia spettinate: ha fatto giusto in tempo a spazzolarsi le mani dal grasso della macchina che l'ha fatta capitozzare per tutta la giornata. Mi parla di guarnizioni, di manovellisimi, di McGyver. Io faccio Sì con la testa, ma mi interessa più capire quanto assomiglia a PJ Harvey: stessi occhi che paiono pietre nere infisse nel legno bruciato. Stessa voce, stesso timbro di contralto. Stessa emissione di forza. (C'è una chitarra appoggiata alla parete. Mentre parla dentro al telefono che non ascolto, passo le dita sulle corde: nylon. E' accordata. Nello stereo gira musica così bassa che non la riconosco.) Cerca il pane, sbuffa parole di malcontento: E' poco, non ho nulla, due pomodori. La guardo: ho questa compulsione a misurare i gesti, decodificarli: qualcosa si sta disegnando, a mezz'aria, attorno ai capelli neri raccolti, ai ciuffi sparpagliati per aria con le bombe a mano. Cura dove appoggia il grappolo di pomodori. D'istinto, attenta alle proporzioni, allo spazio. L'olio, versato con micragna. Il pane, affettato con un coltello da sbudellarci i capri. Poi dice I capperi, e torna con un vasetto di capperi selvatici. Li vado a raccogliere, dice, mi arrampico, ne trovo tanti. Ma non sempre. Li metto nel sale, poco. Poi fa così con il mento, per dire Assaggia, senza sprecare fatica. Io assaggio, e una fucilata di sale-verde-mare-macchia-vento mi maltratta le papille. Capperi selvatici, ci sono anche i frutti. Dico Cucunci, e mi aspetto la faccia compiaciuta che hanno spesso gli indigeni sorpresi che un forestiero parli la lingua dei capperi. Non la vedrò. Tira su il tagliere e i bicchieri e passa di sopra. Ci sediamo lontani: dobbiamo parlare a voce alta. Va bene, a quest'ora la luce s'è imbiondita, e racconta di una giornata che si spegne dignitosamente. Versa il bianco , SP68, parliamo. Albanella, Moscato. Sì, Moscato. Quando arriva il Frappato si accartoccia dentro il fornice del camino, e il vino che gira nei bicchieri è l'inchiostro dei suoi pensieri. La cantina piccola, la macchina che si rompe e che lei sa come aggiustare. Il nuovo podere. La nuova cantina. Le centomila bottiglie. Il vino. Le visite, la fatica, le macchine, il vino, le bottiglie. Gli alberelli, il mutuo, il chiasso, le bottiglie, il vino, il vino, il vino. Si abbraccia le ginocchia, incrociando pesanti stivali militari. I vini rossi passano nel bicchiere. Arriva il Grotte Alte. 2008, dice. Arriva il libro. Mentre svoltavo la via sterrata con il laconico cartello "Occhipinti" ero semplicemente terrorizzato. Dalla banalità, dalla prevedibilità di incontrare una delle figure più parlate del vino d'oggi. Dalla banalità, dalla prevedibilità delle cose da dire. Storia atipica, e quindi interessante. Un buon "prodotto" da stampare sui pixel di mille monitor. Ora, mentre Arianna mi dice del suo libro, sono finalmente tranquillo. Non avrò bisogno di raccontare della sua storia fumigante di ambizione, desiderio, amore cristallino per il suo lavoro. Mi basterà dire di come l'ho vista mettere a posto i pomodori su quel tagliere. Finalmente mi dice del padre architetto, della storia del palmento: dove si faceva il vino rosso, qui a Vittoria, fino agli anni '50. Finalmente capisco cosa aveva attirato il mio sguardo malato di curiosità: quel senso del bello che ha conficcato nel DNA, come una condanna felice: innato: di non perdere alcuna occasione di migliorare le cose che tocca. Apre una copia del suo libro*, dice Così sono sicura che ti arrivi. Scrive due parole, con cura, migliorando la mia copia. E' notte, ho ancora stampato addosso il senso incompiuto del Grotte Alte - imbottigliato da: oggi - il Cerasuolo eretico di Arianna Occhipinti. Ero venuto per parlare di vino, e mi trovo a parlare attorno al vino: come la nota blu, quando pieghi la corda della chitarra a cercare un quarto di diesis, blu. Mentre ci salutiamo, come un'agnizione, mi accorgo che si chiama Occhipinti. Mi giro, perché nessun nome altro che questo poteva avere. Ma è già trascolorata nella notte, sento solo gli stivali che percuotono la roccia. *Natural Woman, Fandango.

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