Attualità

Vini di Vignaioli 2012 | Fornovo, naturalmente

pubblicata il 06.11.2012

Quando le idee diventano slogan acquistano potenza ma perdono forza. Quando le parole diventano aforismi risuonano di rulli di tamburi, ma si diluiscono nel vento. Questo è quello che sento accadere mentre mi aggiro tra i (brutti ma romantici) banchetti del tendone di Fornovo Taro, per questo incontro con una vasta e profonda rappresentanza dei produttori di vini detti naturali perchè nessuno ancora ha trovato il modi definirli. Vini lo-fi, direbbe un appassionato di indie-rock, mandati in bottiglia con il minor interventismo possibile. Dicevo: slogan, perchè quando il produttorino ti dice "senza solforosa!" ancora prima che tu alzi il calice; quando senti ovunque la frase-totem "e poi quell'acidità..." con tanto di eloquenti puntini di sospensione allora ti chiedi quanto è attitudine e quanto atteggiamento.  La risposta come sempre al bicchiere: pur trovando anche nel bicchiere il limite di fronte alla soglia del dolore, a quel sentore di sacrifici umani, a quel delirio di rusticità che ti domandi dove vuole arrivare. Come quando ascoltaii quel CD di John Frusciante registrato su un mangiacassette, quasi indistinguibile dal rumore di fondo, che conteneva però più idee dell'intera discografia di Justin Timberlake. Allora con mente aperta alzo il calice: per una spazzolata tannica del Sagrantino Foglio 11 '8 di Calcabrina; i seducenti bianchi Humbrecht, con quel Riesling '7 petrolifero e floreale da innamorarsi vero; i rossi languedoc di Benedicto, diversissimi nel '3 (verde e scalciante) e nel '7 (diritto, severo, asciutto ma non polveroso); i Bourgogne Chardonnay rien-de-rien di Vergè, ricchi di sfumature come le particelle da cui provengono, e in genere liberati da una certa grevità nel corso degli anni; i micidiali Bandol di Chateau St.Anne, scalcianti fino allo sgarbo in gioventù poi destinati ad una vecchiaia di gioia; la batteria dello sloveno Cotar che fa Terlano e Merlot da maltrattamento papillare, e bianchi di irresistibile austerità, particolare i sorprendenti e longevi Vitovska e Malvasia, riconoscibile pure nella sua traslitterazione macerata. Temibile anche la strada che porta alla Cascina degli Ulivi, di cui su queste pagine si è amato il Nibio '6. Barbera vivide, Dolcetto sgomitanti, e la piccola epifania in anteprima della Barbera 2006 che dice tanto. Doloroso l'impatto con i vini di Alain Castex, carismatico personaggio della zona di Banyuls che porta due suoi vini estremissimi del '12. Intorno gli appassionati esalano C'est Magique, e io mi limito a sentirmi inadeguato di fornte all'espressività sgangherata di questi bicchieri. Del mio adorato Terpin sugli scudi la Ribolla Gialla, sempre felice e reboante, succoso e rigoroso il Sauvignon pur de-tipicizzato dalle macerazioni decise. Infine un gesto di eleganza per il Muscat '8 di Stephane Brannhwart che dall'alto della sua figura da attore di film di guerra mesce questo bicchiere lieve e fronzuto allo stesso tempo. Ai margini qualche produzione artigianale di salumi, formaggi, altri commestibili: mirabolante la parabola di Gregorio Rotolo, profeta pecoristico di Scanno Fornovo è Fornovo: sputacchiere da mira infallibile a terra, culto del personaggio, qualche tratto di pauperismo non ingrigiscono l'entusiasmo palpabile il senso di missione inestinguibile che cogli. Una manifestazione che conserva una personalità definita che sa dividere, e questo piace e piace assai. Piacciono le realtà che precipitano sull'assito senza reti, piacciono i sorrisi larghi, piacciono le distanze brevi, piace la generosità degli organizzatori.

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